«Non ho rimorsi. Sono in pace con la mia coscienza» 9 febbraio 2009-2010
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In margine all’intervista del 2 febbraio 2010, festa della Presentazione del Signore, concessa a La Stampa. «Il mio calvario non è finito»

Bene sia per la sua coscienza, signor Beppino. Peccato che sia forse a senso unico! Ricordo di avere ospitato sul sito che curo (per cui sono stato da lei chiamato in causa) parole di comprensione di fronte a un dolore grande e grave. Erano nate da un appassionato dialogo tra me e un collaboratore del sito, Fabio Cavallari, non credente, che diceva: «Non è facile affrontare l’argomento dopo la sentenza di un giudice. Non lo è perché, la vita e la morte non possono essere “giudicate”. Non sto parlando di morale, della legge di Dio o della pietà. Vorrei che tutti noi fossimo più parsimoniosi di parole, che non alzassimo l’indice per giudicare a nostra volta. Penso al padre di Eluana e non posso esimermi dal guardare l’amore di un padre. Credo nella genuinità che esprime, nella sua ricerca di pace, in quel tentativo di ridare libertà alla figlia. Non spetta a noi e mai dovremmo farlo entrare nella dimensione intima e personale tra un padre ed una figlia. Penso alla solitudine di quest’uomo, tra un consiglio scientifico ed uno legale, penso al suo “bene” che lo ha portato a chiedere le estreme conseguenze. Non possiamo giudicare, non dobbiamo alzarci dalla sedie pronunciando il nostro “se fossi”. Mai. E’ nostro compito però, inserirsi in una discussione che parla a tutti noi di vita. Di vita e di morte».
Mi sono sembrate parole dettate da pietà e compassione. Peccato però che ha prevalso un’altra logica, forse un calcolo, che ha fatto di questo dramma una tragedia.
Ho letto la sua intervista a La Stampa. Mi hanno colpito in particolare due cose.
Lei afferma di avere deciso per la sorte di sua figlia. Certo, in mancanza di una legge che fosse secondo il suo criterio, ha voluto farsi legge a se stesso, creando così un precedente per una legge che, lei afferma, sarà «decente [perché consentirà] ai cittadini di poter decidere per loro stessi». La cara Eluana è stata strumento di questo progetto, lei, che non «c’è più dal giorno dell’incidente».
L’altra affermazione che mi ha fatto pensare è stata: «Io, che mi batto per la libertà di scelta, figuriamoci se blocco quella di un artista». Penso però che il suo pensiero vada completato così, perdoni la franchezza: «purché affermi, canti o esprima quello che io ritengo giusto». Libertà a senso unico, appunto!
Eluana non è morta, è stata fatta morire. Non mi interessa ora affermare il diritto di farlo, comunque questa è l’azione.
Quando è entrata in ospedale per la prima volta, dopo il gravissimo incidente, forse lei, signor Englaro, avrà chiesto ai medici di farla vivere, guarendola. Ora, che non è guarita, ha chiesto di farla morire. Tutto qui. Ma denunciare chi definisce questa azione come «omicidio legalizzato» mi sembra proprio che contraddica quella libertà di pensiero che tanto afferma, e vada anche contro la logica e il buon senso. Questo infatti sul sito abbiamo detto, e in maniera che non ha voluto offendere nessuno. Con una infinita pietà, con un dolore immenso, con la speranza che cose così non accadano mai più.
Capisco il suo dolore, non condivido la sua scelta. E come lei rivendica il diritto di renderla legge, io – con lo stesso diritto – mi batterò perché questo non accada. Senza crociate. Senza isteria. Ma certo senza paura.