“Lavorare finché è giorno”
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L’euforia alquanto controllata che ha accompagnato le dichiarazioni dei vincitori delle elezioni politiche 2008 è un segnale eloquente da un lato della complessità dei problemi italiani sul tappeto, e dall’altro del venir meno della politica-spettacolo. “Sì, ci aspettano anni difficili, ma io sarò un premier molto diverso da quello del 2001: non lascerò spazio alle chiacchiere, non leggerò i giornali, voglio passare alla storia come uno statista che ha cambiato il Paese”, così ha affermato un Berlusconi soddisfatto ma anche pensoso. Condividiamo la moderata euforia dei vincitori: non è indifferente che vi siano dopo il 13 aprile condizioni più favorevoli per una “libertas Ecclesiae” e per l’affermazione di una sussidiarietà reale, e quindi del bene comune. Se non altro, radicali permettendo, per cinque anni non saranno più priorità i Di.Co., l’eutanasia, la revisione della Legge 40 e altre equivoche e mortifere “modernizzazioni”. Moderata euforia: infatti resta vero quanto dicevamo prima del voto: non riponiamo nella politica la nostra speranza, neppure nella vittoria. Ma finché vi è luce, senza addormentarci sugli allori, occorre operare nella società perché sempre di più si affermino condizioni di vita degne dell’esperienza umana. L’esempio della Lombardia, dove la sussidiarietà, la dottrina sociale cristiana e la ricerca del bene comune sono diventate pratica quotidiana e modello per tutti, dimostra che “SI PUO’ FARE”, perché in Lombardia è già stato fatto.
Sbaglia chi avendo perso le elezioni cerca un colpevole a cui attribuire la colpa tra gli alleati, negli appelli al voto utile, nell’incapacità degli elettori.
Gli italiani non si sono fidati di un PD che si presentava come il nuovo modello di risanamento del Paese, hanno scelto, e hanno dimostrato con il proprio voto di essere stanchi di essere trattati da sudditi, stanchi di uno statalismo che preleva dalle tasche del nord e non fa il bene del sud, stanchi di una burocrazia che soffoca l’intrapresa, stanchi di chi sostiene che cultura laica non possa fare rima con libertà di educazione, stanchi di chi crede che il diritto di educazione dei figli spetti allo Stato e non alla famiglia, stanchi di coloro che in nome di un ‘ambientalismo ideologico’ hanno bloccato opere di cui il paese ha assoluto bisogno.
Ora abbiamo voltato pagina, ma con realismo; alla politica non chiediamo di darci la felicità, ma di permettere agli uomini di essere liberi e artefici di quel bene comune al quale ognuno è chiamato con responsabilità a collaborare: avanti con coraggio e determinazione, bisogna lavorare finché è giorno, con un’operosità costruttiva nel tempo che ci è dato. Benedetto XVI, che nel nome richiama il Grande Fondatore della civiltà europea, e che in questi giorni è testimone della novità di Cristo negli USA e all’ONU, con intrepida fermezza e tenacia ci fa da guida in questo compito entusiasmante.