“Cristo nostra speranza”
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«Insieme con i vostri Vescovi, ho scelto come tema del mio viaggio tre semplici ma essenziali parole: “Cristo nostra speranza”. Sulle orme dei miei venerati predecessori, Paolo VI e Giovanni Paolo II, per la prima volta verrò da Pontefice negli Stati Uniti d’America, portando con me questa grande verità: Sì, Cristo è il volto di Dio apparso tra noi. Grazie a Lui la nostra vita trova la sua pienezza ed insieme possiamo formare una famiglia di persone e di popoli che vivono in fraternità, secondo il disegno di Dio Padre. So bene quanto nel vostro Paese questo messaggio evangelico sia radicato! Vengo a condividerlo con voi, nelle celebrazioni e negli incontri. Porterò il messaggio della speranza cristiana anche nella grande Assemblea delle Nazioni Unite, ai Rappresentanti dei popoli del mondo. Il mondo infatti ha più che mai bisogno di speranza: speranza di pace, di giustizia, di libertà, ma non potrà realizzare questa speranza senza obbedire alla legge di Dio, che Cristo ha portato a compimento nel comandamento di amarci gli uni e gli altri. Fate agli altri ciò che volete facciano a voi, non fate ciò che non volete che essi vi facciano. Questa “Regola d’oro” si trova nella Bibbia ma vale per tutti, anche per i non credenti. E’ la legge scritta nella coscienza umana, e su questa possiamo tutti ritrovarci, così che l’incontro delle differenze sia positivo e costruttivo per l’intera comunità umana» [Benedetto XVI, video messaggio ai cattolici e al popolo degli Stati Uniti d’America in occasione dell’imminente viaggio apostolico, 8 aprile 2008].
Con questo messaggio Benedetto XVI ha inteso abbracciare spiritualmente tutti cattolici che vivono negli Stati Uniti e al tempo stesso esprimere fraternità verso ogni Comunità ecclesiale, testimonianza di amicizia verso tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà. “Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni” (At 2,32). La testimonianza resa da Pietro alla risurrezione continua a vivere in modo sorprendente in Benedetto XVI: “Il Signore risorto ha affidato agli Apostoli e alla Chiesa il suo Vangelo di amore e di pace, e lo ha affidato perché fosse recato a tutti i popoli…in special modo ai giovani, ai malati, agli anziani e a quelli che attraversano difficoltà o si sentono più provati”.
C’è in sintesi la Spe salvi cioè la speranza nella cultura anche di oggi: la redenzione del Risorto fin dagli inizi del suo incontro con i suoi è stata come un’esplosione di speranza affidabile nel nostro mondo, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso che può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino. Pur non bastando senza la grande speranza abbiamo bisogno della speranze – più piccole o più grandi – che giorno per giorno mantengono in cammino il mondo: speranza di pace, di giustizia, di libertà, che non possono accadere senza obbedire alla legge di Dio, che Cristo ha portato a compimento nel comandamento di amarci gli uni e gli altri. Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. E il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che per sua natura è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è “veramente” vita.
Le ragioni della speranza non sono una novità per il pensiero cristiano, essa è presente nella tradizione fin dagli inizi; il nostro tempo tuttavia, dominato da una ragione ridotta, scettica ed esangue, ha bisogno di dare slancio alla cultura del nostro tempo, restituendo alla fede cristiana piena cittadinanza per ravvivare, anche attraverso l’ONU, la consapevolezza del logos cioè del significato di ogni vita presente, riconoscendo il suo radicamento in una speranza affidabile. Il percorso temporale di ogni uomo conduce alla morte, ma la morte fisica non è l’annientamento totale dell’uomo, come la dittatura del nichilismo, del relativismo vogliono far credere. L’annientamento totale è impossibile e irreale: come l’uomo non può disporre della propria origine senza il Logos creatore, allo stesso modo non può disporre della “capacità del non essere”. E’ impotente anche rispetto alla sua fine, nel senso che non dispone del potere di distruggere e annullare il proprio essere. Anche il suicida, che cerca la morte come una liberazione, può mettere fine solo all’esistenza terrena, ma non ha il potere di “revocare” il suo essere con un annientamento assoluto: occorre una fiducia tragica! Anzi con la risurrezione, già avvenuta nella storia, c’è il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo.