La sapienza del contadino russo
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La logica sottesa alla ripresa del dibattito sull'ora di religione, aperta da una dichiarazione del Card. Martino e rilanciata dalla provocazione di Vittorio Messori: "Abolire l'insegnamento di tutte le religioni, a cominciare da quella cattolica!", sembra essere quella di un vecchio ritornello che alimenta più confusione che altro.
Da quando il nuovo Concordato ha regolato la materia ormai più di vent'anni fa, la querelle si è riproposta con puntualità martellante, e ogni volta i vecchi ed erronei argomenti sembrano guadagnare terreno. Inutile ribadire che la Repubblica italiana [riconosce] il valore della cultura religiosa e [tiene] conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano. Inutile distinguere tra necessità di una doverosa proposta culturale e assenza invece di qualsiasi finalità catechetica, come ribadisce Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro: "L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali italiane ha rappresentato e rappresenta un fatto di enorme importanza sul piano culturale e non sul piano catechetico confessionale. Culturale significa che, appartenendo il cattolicesimo, come dice la riforma del Concordato, alla sostanza dell'esperienza dell'italianità, è diritto fondamentale dei cittadini italiani, dei giovani italiani, conoscere adeguatamente questo insegnamento nella forma che questa tradizione ha avuto, quella cattolica romana, e quindi è un dovere dello Stato impartirlo, a chi lo chieda".
No, come in un incubo déjà vu, si ripetono i soliti triti argomenti sulla laicità dello stato e sulla privatezza dell'esperienza religiosa. "Qui non è in discussione un criterio quantitativo, il cristianesimo è il fulcro della nostra storia e identità culturale. Basta rileggersi l'articolo 9 del Concordato per capire lo spirito dell'ora di religione nelle classi. Lo Stato non può fare lezioni per tutte le fedi", ha affermato su "La Stampa" del 10 marzo il Card. Ersilio Tonini.
Questa vicenda pone però altri e ben più gravi interrogativi. Dove si origina un giudizio cristiano sulla realtà, sulle circostanze, sugli avvenimenti? Fatto salvo il principio agostiniano: "In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas", quali sono le coordinate che rendono possibile una lotta per la verità, nella faticosa ed incerta trama delle vicende umane?
Andrej Sinjavskij, grande scrittore russo del Novecento, nei suoi "Pensieri improvvisi" ha vividamente tratteggiato la figura del contadino russo, capace di vivere un'esperienza culturale profonda pur nella apparente modestia del suo villaggio:
"...La quantità delle nostre nozioni e informazioni è enorme, ne siamo sovraccarichi, senza che esse cambino qualitativamente. In pochi giorni possiamo fare il giro del pianeta – prendere un aereo e viaggiare senza profitto spirituale, allargando soltanto il nostro raggio informativo. Confrontiamo adesso questi pretesi orizzonti con lo stile di vita dell'antico contadino, che non si spingeva mai al di là del suo praticello e camminava tutta una vita nelle tradizionali ciabatte, fatte a casa. Il suo orizzonte a noi pare ristretto; ma, in verità, com'era grande questa serrata compagine, concentrata in un solo villaggio. Perfino il monotono rituale del pasto... faceva parte di una cerchia di nozioni dal significato universale. Osservando il digiuno e le feste, l'uomo viveva secondo il calendario di una storia comune che cominciava da Adamo e finiva col Giudizio Universale... Il contadino manteneva un legame permanente con l'immensa creazione del mondo, e spirava nelle profondità del pianeta, accanto ad Abramo. Invece noi, scorso il giornale, moriamo solitari sul nostro divano angusto e superfluo...Prima di impugnare il cucchiaio, il contadino cominciava col farsi il segno della croce e con questo solo gesto riflesso si legava alla terra e al cielo, al passato e al futuro".
L'immanenza effettiva ed affettiva alla comunione della Chiesa, intesa come esperienza, tradizione, legame con l'autorità, originano una sapienza altrimenti inimmaginabile.
Scrive don Giussani: "E' immanendo, vivendo dentro la comunità ecclesiale, che, quasi per una osmosi continua, [le] verità [cristiane] penetrano, giorno per giorno, incalcolabilmente, attraverso la membrana della nostra consapevolezza". Una osmosi, un lasciarsi penetrare dalla verità nella familiarità con la vita della Chiesa: solo questo può combattere in noi il prevalere del pregiudizio o il brandire la propria opinione.
"Il popolo può e deve giudicare la barbarie, ma è il popolo che giudica la barbarie, non una ideologia che si contrappone. Questo è certamente il discriminante che c'è nella Chiesa, fra chi parte dalla cura del popolo e chi parte da una preoccupazione d'impatto nella vita culturale e sociale che può prescindere dal popolo, come se non fosse necessaria la cura dell'essere: per noi cristiani è la cura del popolo perché il popolo è il luogo dell'essere. Perché dal momento che Dio si è fatto uomo e vive in mezzo a noi, l'Essere ha carne, ha un corpo e permane nel mondo attraverso un corpo, e quindi la cura del corpo della Chiesa è una fondamentale azione in difesa della civiltà e contro la barbarie". (Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro).