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La responsabilità del Vescovo quale servizio di speranza

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
La questione fondamentale si chiama educazione di ogni persona concreta. Il progresso può essere progresso vero solo serve alla persona umana, ad ogni persona umana e se la persona umana cresce. E questo può avvenire se accanto alla fede cresce anche la morale, se accanto alla crescita scientifica, tecnica, cresce anche la capacità etica. Ecco perché la formazione di ogni persona è la vera ricetta, la chiave, la via.

L'importante discorso di Benedetto XVI ai Vescovi della Conferenza episcopale del Canada occidentale ha avuto come anima biblica la parabola del Figliol prodigo traendovi dei giudizi di estrema attualità: la profonda illustrazione della misericordia di Dio e l'importante desiderio umano di conversione e riconciliazione, come pure la ripresa dei rapporti interrotti. E tutto questo parla a noi tentati di esercitare la nostra libertà con una apostasia silenziosa da Dio. Ora l'esperienza del figliol prodigo ci fa prendere coscienza nella storia della nostra vita che quando la libertà viene ricercata al di fuori di Dio il risultato è negativo: perdita della dignità personale, confusione morale e disgregazione sociale. Al contrario, l'amore appassionato del Padre per l'umanità vince l'orgoglio umano. Come ricorda il numero 10 dell'enciclica Deus caritas est, donato gratuitamente, è un amore che perdona e che porta le persone a entrare più profondamente nella comunione della Chiesa di Cristo. Offre veramente a tutti i popoli l'unità in Dio e, come mostra in maniera perfetta il Cristo della Croce, riconcilia la giustizia e l'amore.
Quindi Benedetto XVI sviluppa la sua riflessione con tre interrogativi: "E che dire del fratello maggiore? Non è forse egli, in un certo senso, anche tutti gli uomini e tutte le donne? Forse, soprattutto quelli che si allontanano tristemente dalla Chiesa? La sua razionalizzazione del proprio atteggiamento e delle proprie azioni suscita una certa simpatia, ma, in ultima analisi, descrive la sua incapacità di comprendere l'amore incondizionato. Incapace di pensare al di là dei limiti della giustizia naturale, resta intrappolato nell'invidia e nell'orgoglio, staccato da Dio, isolato dagli altri e a disagio con se stesso".
Sebbene oggi le manifestazioni del peccato abbondino, avidità e corruzione, rapporti rovinati dal tradimento e sfruttamento di persone, il riconoscimento della peccaminosità individuale viene meno e quindi occorre una attenta riflessione sui modi di suscitare e far accadere conversione e penitenza nel cuore dell'uomo. Oltre a questo affievolirsi del riconoscimento del peccato cioè del proprio no buttato in faccia a Dio, con il corrispondente bisogno di ricercare il perdono, o si affievolisce la memoria dell'avvenimento del proprio incontro esistenziale con la presenza di Gesù risorto o questa, pur avvenuta oggettivamente fin dal Battesimo, esistenzialmente in un incontro, a livello di piena consapevolezza, non è mai avvenuta. E questo fenomeno non sorprende che sia particolarmente pronunciato in società, come la nostra, caratterizzate da una ideologia secolarista post-illuminista. Benedetto XVI osserva che "laddove Dio viene escluso dalla sfera pubblica, il senso di offesa a Dio - l'autentico senso del peccato - svanisce e proprio quando il valore assoluto delle norme morali viene relativizzato, le categorie di bene o di male svaniscono insieme alla responsabilità individuale. Tuttavia, la necessità umana di riconoscere ed affrontare il peccato non viene mai meno, indipendentemente da quanto un individuo possa, come il fratello maggiore, razionalizzare il contrario. Come ci dice san Giovanni "se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi" (1 Gv 1,8). Ciò è parte integrante della verità della persona umana. Quando la necessità di cercare il perdono e la disponibilità a perdonare vengono dimenticate, al loro posto sorge una inquietante cultura del biasimo e della litigiosità. Tuttavia quest'orribile fenomeno si può eliminare. Seguire la luce della verità taumaturgica di Cristo significa dire con il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo" e dobbiamo essere lieti "perché questo tuo fratello … era perduto …ed è stato ritrovato" (Lc 15,31 - 32).
Il Papa ha affermato sia la priorità pastorale che la grande speranza che i fedeli sperimentino l'amore di Dio quale chiamata ad approfondire la loro unità ecclesiale e a superare la divisione e la frammentazione che tanto feriscono le famiglie e le comunità di oggi e sia la responsabilità del Vescovo e con lui dei presbiteri, dei genitori e di ogni operatore educativo di far emergere il riconoscimento della peccaminosità individuale intesa, però, quale servizio di speranza: rafforza i credenti affinché evitino il male e scelgano la perfezione dell'amore fino al perdono e quindi la pienezza della vita cristiana.
Attualmente, una delle grandi sfide dell'evangelizzazione riguarda proprio l'ambito della morale. Si tratta di una situazione difficile che proviene da un contesto culturale che si dichiara post-cristiano, post-illuminista e, con una apostasia silenziosa, si propone esplicitamente, più spesso di fatto, concretamente, di vivere "come se Dio non esistesse", non fosse rilevante sia per una ragione che si autolimita all'utile immediato e sia per la linea di condotta e per il senso, per la felicità umana. In questa situazione si rischia di finire col misurare la propria vita e le proprie azioni in relazione a se stessi, alla vita sociale, al loro grado di compatibilità con il mondo, per soddisfare le proprie necessità e i propri desideri. L'apertura originaria della ragione alla ricerca del da dove vengo nascendo e dove vado a finire morendo cioè della sfera del trascendente, del senso religioso naturale cessa di essere significativa nella vita personale e sociale quotidiana o relegata alla coscienza individuale come fattore meramente soggettivo. Il risultato è un radicale relativismo, secondo il quale qualunque opinione sui temi della morale sarebbe ugualmente valida. Ognuno possiederebbe "le sue verità" e tutt'al più nell'ambito dell'etica, si può aspirare a dei "minimi condivisi", la cui validità non potrà mai andare oltre il presente e nel quadro di determinate circostanze. La radice più profonda della crisi morale che colpisce gravemente molti cristiani, anzi nella quale siamo tutti tentati, è la drammatica frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura, un fenomeno annoverato dal Concilio Vaticano II "tra i più gravi errori del nostro tempo" (GS 43). Restituire ai cristiani quelle convinzioni e quelle certezze è compito fondamentale del Vescovo e con lui di tutti gli educatori: restituire ai cristiani quelle convinzioni e quelle certezze che permettono loro di "non aver paura", nella comprensione che "questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede" (1 Gv 5,4): è un autentico e imperativo servizio ecclesiale per l'evangelizzazione.
Ma se c'è un grave frattura tra morale e fede-verità, c'è pure anche il rischio di frattura tra fede e morale. E la questione fondamentale, se vogliamo fare dei passi avanti in questo campo, si chiama educazione di ogni persona concreta. Il progresso può essere progresso vero solo serve alla persona umana, ad ogni persona umana e se la persona umana cresce e questo può avvenire se accanto alla fede cresce anche la morale, se accanto alla crescita scientifica, tecnica, cresce anche la capacità etica. Ecco perché la formazione di ogni persona è la vera ricetta, la chiave, la via. Se preoccupa proporre la morale senza l'orizzonte del connubio fede-ragione nella presenza ecclesiale del Risorto da incontrare per lasciarsi assimilare a Lui (la morale è la vita in Lui), riconciliare con Lui (e non c'è riconciliazione senza incontrarlo ecclesialmente), preoccupa anche proporre l'orizzonte di fede - ragione senza una conseguente, indissociabile educazione morale.

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