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La proposta di una legge sul “fine vita”

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Si è imposta così una riflessione nuova da parte del Parlamento nazionale (a motivo della nuova situazione venutasi a determinare in seguito a rischiosi pronunciamenti giurisprudenziali in riferimento alla vicenda di Eluana Englaro) sollecitato a varare, si spera con il concorso più ampio, una legge sul fine vita che - questa l’attesa - riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito - fuori da gabbie burocratiche - di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza. Dichiarazioni che, in tale logica, non avranno la necessità di specificare alcunché sul piano dell’alimentazione e dell’idratazione, universalmente riconosciuti ormai come trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie. Una salvaguardia indispensabile, questa, se non si vuole aprire il varco a esiti agghiaccianti anche per altri gruppi di malati non in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per se stessi. Quel che in ultima istanza chiede ogni coscienza illuminata, pronta a riflettere al di fuori di logiche traumatizzanti indotte da casi singoli per volgersi al bene concreto generale, è che in questo delicato passaggio - mentre si evitano inutili forme di accanimento terapeutico - non vengano in alcun modo legittimate o favorire forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico, e sia invece esaltato ancora una volta quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l’ordinamento italiano. La vita umana è sempre, in ogni caso, un bene inviolabile e indisponibile, che poggia sulla irriducibile dignità di ogni persona (Benedetto XVI, Sydney, 17 luglio 2008), dignità che non viene meno, quali che siano le contingenze o le menomazioni o le infermità che possono colpire nel corso di un’esistenza. Alla luce di questa consapevolezza iscritta nel cuore stesso dell’uomo, e che non è scalfibile da evoluzioni scientifiche o tecnologiche o giuridiche, noi guardiamo con fiducia alle sfide che il Paese ha dinnanzi a sé, sicuri che il nostro popolo - con l’aiuto del Signore - saprà trovare le strade meglio corrispondenti alla sua voglia di futuro e alla sua concreta vocazione» [Angelo Bagnasco, in apertura del Consiglio permanente della Cei, 22 settembre 2008].

Non “testamento biologico” ma una proposta di legge sul “fine vita”
Non c’è nessuna apertura ai testamenti biologici comunemente intesi, idea che riduce la vita a bene patrimoniale per una piena disponibilità della propria e altrui vita o eutanasia attiva o passiva, anche perché un paziente in stato vegetativo non è morto, ha tutta la dignità umana e nessuna volontà espressa da altri o dallo stesso paziente può cambiare questo fatto. Il rifiuto delle cure da parte del paziente non può valere nel caso quelle cure gli salvino la vita: qui prevale sempre il beneficio di beneficità cioè quello secondo cui il medico, “in scienza e coscienza”, deve fare di tutto per salvare la vita del paziente. La questione delle sue volontà entra in gioco quando quei trattamenti sanitari costituiscano accanimento terapeutico, ovvero procurino danni alla sua condizione fisica e psichica o comunque non vi apportino beneficio reale, significativo. E’ questo il discrimine cui dovrà muoversi una legge sul fine vita. Il paziente ha sempre il diritto di ricevere le cure dell’alimentazione e dell’idratazione e questo non può essere materia di dichiarazioni anticipate. Anche qualora ci fosse una dichiarazione preventiva di rinuncia all’alimentazione il medico “in scienza e coscienza” in nessun caso può accoglierla. La legge da elaborare è di assistenza per la fine vita, non certo un provvedimento che si limita a sancire o recepire le dichiarazioni anticipate. La Legge non deve entrare nei dettagli di una casistica infinita, ma lasciare margini di discrezionalità al dialogo tra paziente e medico che non sarà un esecutore passivo, salvaguardando, però sempre, il principio dell’indisponibilità della vita umana che verrebbe meno operando per la morte. Nel caso di una legge che regolamenti il fine vita, come quella cui punta il Parlamento, non deciderebbe sulla morte di nessuno - e come potrebbe? -; piuttosto, nel rispetto delle situazioni particolari se sussistono le condizioni per cui la legittima volontà di non essere curato di un paziente, espressa in precedenza, coincida col fatto che quelle terapie gli arrecano inutili sofferenze. In queste, non rientrano mai cibo e acqua.

“La vita resta un bene indisponibile”
Proprio in forza dei diritti originari, innati di ogni persona come verità, asse del diritto naturale e della concezione stessa dell’umanità ne consegue che non si possa stabilire per legge la facoltà di morire. Questo è possibile solo con una riduzione radicale dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Ma così si ha un autentico capovolgimento del punto di partenza della modernità, dell’illuminismo anche laico, che era una rivendicazione della centralità di ogni uomo e della sua libertà come persona, sempre fine e mai riduttivamente strumento per altri o per altro. Nella medesima linea, l’etica verrebbe ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Non è difficile vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità. La capacità di scegliere non può quindi riguardare la vita naturale di ogni persona. E nell’intervento del cardinal Bagnasco non ci sono cedimenti perché ribadisce che “la vita umana rimane sempre inviolabile e indisponibile”. Si tratta piuttosto di affrontare come la tecnologia interviene nelle sue modalità e quindi riconoscere l’importanza della volontà della singola persona nello stabilire il modo in cui l’assistenza e la tutela della vita si attuano. Qui si inserisce un discorso rischioso cioè introdurre un elemento di discrezionalità soggettiva nella vita reale. Ma ribadisce che nutrizione e idratazione debbono essere riconosciuti come sostegni vitali. In questo argomentare occorre, però, essere assolutamente contrari ad una legislazione nell’orizzonte della libertà sulla vita. A livello costituzionale - afferma il cardinale - occorre che venga riconosciuta la trascendenza di ogni persona umana e quindi di ogni vita nella sua inviolabilità.
Anche se il compito istituzionale della Chiesa non è di elaborare leggi ma di valutare proposte di legge, di richiamare, per un’etica condivisa, chi è ogni essere umano a fondamento di ogni legge superando la drammatica frattura fra ragione e realtà di ogni io umano per una conoscenza che, per essere vera cioè reale, è sempre un avvenimento perché rimanda all’origine, al Creatore, al carattere trascendente di ogni vita umana: per questo è indisponibile, non è scalfibile da evoluzioni scientifiche o tecnologiche o giuridiche. Così conclude il suo intervento il cardinale Bagnasco: “noi guardiamo con fiducia alle sfide che il Paese ha dinnanzi a sé, sicuri che il nostro popolo - con l’aiuto del Signore - saprà trovare le strade meglio corrispondenti alla sua voglia di futuro e alla sua concreta vocazione”.

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