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Kamikaze, robot e persone

Fonte:
CulturaCattolica.it

C’è qualcosa di peggio che farsi saltare in aria in un affollato mercato di Bagdad, ed è l’essere usato come inconsapevole strumento di morte per un progetto alieno. Le due ragazze Down, condannate a morte come bombe-robot telecomandate, segnano un altro scalino di discesa nella barbarie senza fine.
Così ne parla Magdi Allam sul suo sito:
“L’abietta strumentalizzazione della vita di due ragazze disabili, trasformate in bombe umane e fatte esplodere dai burattinai di Al Qaeda in due mercati di Bagdad il primo febbraio scorso, provocando il massacro di oltre 70 persone, è stata data dai mass media con il rilievo che spetta a una notizia che suscita sgomento e orrore, ma non ha destato in alcun modo l’interesse dei governi occidentali. Non c’è stata una sola condanna e un solo messaggio di cordoglio alle autorità irachene, come se quel terrorismo fosse un fatto interno che non ci riguardasse. L’unico risvolto positivo è che finalmente, a circa sette anni dalla tragedia dell’11 settembre, la maggioranza degli occidentali ha preso consapevolezza che la violenza in Iraq è opera del terrorismo islamico globalizzato, eccezion fatta per un manipolo di inguaribili apologeti del mito della «resistenza» senza cui non potrebbero legittimare la loro ideologia di odio e rifiuto della loro stessa civiltà occidentale”.
Emmanuel Mounier direbbe che il “processo mortale dell’oggettivazione” (al quale non è estraneo anche il laicismo relativista dell’Occidente) ha compiuto un altro salto di qualità. Embrione-oggetto, donna-oggetto, kamikaze-oggetto (e vi sono le prove di bambini reclutati dal terrorismo jihadista): usare una persona per i propri scopi, recidendo dal proprio sguardo il rapporto con l’Infinito che la costituisce. Lo dicevano già i Romani, civiltà precristiana (oggi molti giungono ad auspicare il ritorno al paganesimo), e lo cita don Giussani ne “Il senso religioso”: “Uno dei più grandi giuristi romani, Gaio, distingueva tre tipi di utensili che il civis, cioè l’uomo con tutti i diritti, poteva possedere: gli utensili che non si muovono e non parlano, gli utensili che si muovono e non parlano, cioè gli animali; e gli utensili che si muovono e parlano, gli schiavi. V’è assenza totale della libertà come essenziale dimensione della persona”. Lo sguardo comprensivo e compassionevole, chino sulla propria e sull’altrui umanità, è frutto di un’educazione. Si impara per osmosi, stando accanto a chi guarda così. Lo ha portato nel mondo un Uomo che aveva col Mistero un rapporto particolare, anzi era lui stesso il Mistero reso amicizia incontrabile. E noi lo abbiamo imparato da Lui. “Egli è l’immagine dell’invisibile Iddio (Col 1, 15). Egli è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, già resa deforme fin dal primo peccato. Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche a nostro beneficio innalzata a una dignità sublime. Con la sua incarnazione, infatti, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato”. (Gaudium et spes, n. 22).
Dopo venti secoli, questo sguardo nuovo sull’uomo (si chiama “conversione” ma anche “buona notizia”) chiede con urgenza di contagiare altri sguardi. Per strapparci dalla barbarie e dal nulla, in una richiesta implorante a Colui che solo può donarcelo.

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