Dove è finita la libertà di stampa?
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Ho letto anni fa uno dei più bei libri che mi siano capitati tra le mani. Si tratta de «Il potere dei senza potere» di Vaclav Havel. Ed è un inno all’uomo, alla sua libertà e alla sua dignità. Mi è venuto in mente questo libro proprio in occasione della «Giornata per la libertà di stampa», di quest’anno.
Perché? Chiederete. Per la semplicissima ragione che – lui che viveva in uno orrendo stato totalitario come era la Cecoslovacchia del regime comunista – ci indica la strada della verità e della responsabilità come unica possibilità di sopravvivenza in una condizione di degrado morale e civile. Avevo letto, in quei giorni, il saggio interessante di Marcuse «L’uomo a una dimensione», ma di fronte alla sua spietata analisi delle condizioni della nostra civiltà (così simili a quanto stiamo vivendo oggi) non si trova una strada praticabile di resistenza e di vittoria.
Al contrario, nel saggio di Havel si ritrova la strada per una ripresa autentica e dignitosa della umanità. È noto il suo apologo sul verduraio che deve esporre, insieme alla merce in vendita, lo slogan che il partito impone insieme alla verdura. Nessuno ci crede, ma tutti lo fanno. È il segno della lealtà al potere che caratterizza così bene il clima culturale che ancora oggi stiamo vivendo. Ma, dice Havel, immaginiamo che – per un sussulto di dignità – il nostro non esponga il cartello insieme alla merce. Che cosa accadrà?
«Ora immaginiamo che un giorno qualcosa nel nostro ortolano scatti e che la smetta di esporre il suo slogan solo perché gli fa comodo. La smette di votare a delle elezioni che riconosce come una farsa. Comincia a dire ciò che pensa veramente alle riunioni politiche. E trova anche la forza dentro di sé per esprimere solidarietà a coloro che la sua coscienza gli comanda di sostenere. In questa rivolta l’ortolano smette di vivere all’interno della menzogna. Egli respinge il rituale e spezza le regole del gioco. Egli scopre nuovamente la sua identità e dignità soppresse. Dà alla sua libertà un concreto significato. La sua rivolta è un tentativo di vivere nella verità.
La resa dei conti non tarderà ad arrivare. Sarà esonerato dal suo posto come direttore del negozio e trasferito al deposito. La sua retribuzione sarà ridotta. […] L’accesso all’istruzione superiore per i suoi figli sarà minacciato. I suoi superiori lo molesteranno in continuazione e i suoi compagni di lavoro si faranno domande sul suo conto. La maggior parte di coloro che applicano tali sanzioni, tuttavia, non lo farà spinto da qualche interiore convinzione, ma semplicemente sotto la pressione di certe condizioni: le stesse condizioni che una volta spingevano l’ortolano ad esporre gli slogan ufficiali. Essi perseguiteranno l’ortolano perché è quello che ci aspetta da loro, per dimostrare la loro lealtà, o semplicemente come parte del panorama generale, al quale appartiene la consapevolezza che questo è il modo in cui situazioni di questo tipo sono trattate, che questo, di fatto, è come le cose sono sempre state fatte, soprattutto se non vogliono diventare sospetti a loro volta. […] L’ortolano non ha commesso una semplice, individuale infrazione, isolata nella sua unicità, ma qualcosa di incomparabilmente più grave. Ha infranto le regole del gioco, ha interrotto il gioco in quanto tale. Lo ha esposto come un semplice gioco. Egli ha frantumato il mondo delle apparenze, il pilastro fondamentale del sistema. Egli ha sconvolto la struttura di potere lacerando ciò che lo tiene insieme. Egli ha detto che il re è nudo. E poiché il re in effetti è nudo, qualcosa di estremamente pericoloso è accaduto: con la sua azione, l’ortolano ha affrontato il mondo. Egli ha permesso a tutti di scrutare dietro le quinte. Egli ha dimostrato a tutti che è possibile vivere nella verità. Infatti vivere all’interno della menzogna può fungere da pilastro del sistema solo se la menzogna è universale. Il principio deve permeare e abbracciare tutto.»
Intelligenti pauca: nella giornata per la libertà di stampa, ritroviamo il coraggio di «vivere nella verità», rinunciando alla vulgata dei luoghi comuni e del politically correct che tanto domina i nostri mass-media. Raccontiamo la vita, senza rincorrere le notizie che sono all’ordine del giorno, denunciamo la menzogna di chi, con tragica viltà, non sa dare il nome alle cose per quello che sono (e se uno pseudo cantante fa sceneggiate blasfeme e si denuda in pubblico, sappiamo chiamare le cose con il loro nome, senza compiacimento e connivenze pelose). La libertà si conquista vivendo da uomini liberi. E mettendosi insieme a coloro che la comunicano con onestà. Se permettete un’altra citazione, rileggiamo quanto il grande Italoo Calvino scriveva ne «Le città invisibili»: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.» La nostra libertà sta anche nel dare spazio a ciò che «non è inferno».