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DAT: una legge per un paese “anormale”?

Fonte:
CulturaCattolica.it
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«Mille argomenti. Un solo giudizio»: è la sfida che vogliamo lanciare, col sito, al mondo. E il “solo giudizio” è quello che nasce dalla fede, e che ha nel Magistero il suo criterio ultimo. E siamo certi, in questo modo, di vivere la ragionevolezza, che ancora a Pasqua, nella Veglia, ci ha richiamato Benedetto XVI.

C’è un argomento che ci preoccupa, e su cui ci è difficile la chiarezza di un giudizio: è la legge sulle DAT, le dichiarazioni anticipate di trattamento.

Abbiamo carissimi amici che la sostengono, abbiamo carissimi amici che la contrastano. E sembrano avere, tutti, buone ragioni. Certamente nessuno di loro è in malafede.

Come comportarci?

Ho avuto modo di leggere, su Internet, le DAT di alcuni radicali; ho letto di molti comuni italiani che hanno creato appositi registri. Tutto questo è indice di una tendenza, a mio avviso molto grave, di voler anticipare le leggi con la logica del “fatto compiuto”. Che, aggiunta alla prepotenza della magistratura (e mi riferisco in particolare, oltre alle recenti prese di posizione dei magistrati in campo politico, ai gravissimi interventi nel caso di Eluana Englaro) non fanno ben sperare. È questo, tra l’altro, che ci fa pensare ad un paese “anormale”, dove ideologia, mass-media e magistratura hanno spesso il sopravvento sul buon senso e sulle tradizioni consolidate di civiltà.

Ritengo, a questo proposito, che ci sia un’urgenza (Benedetto XVI parla continuamente di “emergenza educativa”) che non va sottovalutata: è certo difficile oggi che la Chiesa ritrovi quel ruolo di guida della civiltà che ha avuto nel passato, ma è molto grave se a questo ruolo rinuncia per scelta autonoma, lasciando libero campo ad una cultura che è nata contro l’uomo, contro Dio e contro la verità.

Non possiamo “autolimitarci” quando è in gioco la verità. Gesù, davanti a Ponzio Pilato, non si è tirato indietro, e ha proclamato con chiarezza il suo destino: “Sono venuto a testimoniare la verità”.

Mi pare che a certi livelli della Chiesa si giochi su un registro che è difforme da quello che dice il Papa (le recenti vicende del catechismo YouCat ne sono un esempio lampante: malafede o sprovvedutezza, non sta a me decidere).

Si tratta di riprendere l’insegnamento delle grandi encicliche di Giovanni Paolo II, tra poco beatificato, sia la “Veritatis splendor” come la “Evangelium vitae”. E si tratta di ricordare ai cattolici, ancorché divisi nei vari schieramenti politici, che, sui “principi non negoziabili”, non c’è “disciplina di partito” che tenga.

È necessario vivere nella consapevolezza di un protagonismo da promuovere e da realizzare in ogni campo, capaci di rendere cultura la fede e di leggere i segni dei tempi: rinascerà così la speranza dell’umanità.

Per un aiuto al giudizio, rimando alle diverse posizioni di Assuntina Morresi, di Medicina e Persona, e di Verità e Vita. Mentre riporto quanto ha affermato l’Arcivescovo di Ravenna nei suoi auguri pasquali alla Diocesi a questo proposito e il comunicato dell’Ordine dei Medici di Milano, votato all’unanimità.

«Mille argomenti. Un solo giudizio»: chissà se riusciremo ad essere fedeli a questo programma!

Arcivescovo di Ravenna
«[...] La vita: amiamola e difendiamola sempre. Dal concepimento alla morte naturale. Non si può accettare l’aborto! Non possiamo accettare l’eutanasia! La futura legge di Dichiarazione anticipata di trattamento (DAT) resterà come una porta aperta all’eutanasia. Non possiamo dire che va bene. La legge verrà approvata. Ma aprirà una strada verso l’eutanasia. Se apro un foro in una diga (anche piccolo) prima o poi la diga crolla. Ce ne accorgiamo che cresce l’idea che l’uomo sia “PADRONE” della vita e ne possa fare ciò che vuole?!» [Dal “RisVeglio Duemila” N. 16/2011]

COMMENTO PROPOSTA DI LEGGE n° 2350-A DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO (DAT)
aprile 13, 2011
In questa ultima fase dell’iter legislativo della proposta di legge sulle D.A.T. l’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Milano rileva le seguenti numerose criticità della condenda legge:

Gli obiettivi sono delineati nella relazione di maggioranza, che riporta anche alcuni limiti e criticità: a questo proposito nel testo si legge che “certo non è facile legiferare su una materia tanto complessa come il confine tra la vita e la morte. Ma la realtà chiede di essere governata.”
La realtà a cui ci si riferisce è quella della progressiva affermazione della cultura dell’autodeterminazione, che però non dà “il diritto di chiedere la morte perché la vita e la salute sono beni indisponibili tutelati dallo Stato”. Il come far convivere questi due principi è uno dei punti cruciali: noi riteniamo che l’indisponibilità del bene vita sia un principio gerarchicamente prevalente rispetto alla autodeterminazione e che il metterli sullo stesso piano possa determinare, tra l’altro nella pratica clinica, situazioni conflittuali.
Il discorso della pratica clinica rimanda alla definizione dell’ambito dell’esercizio medico che “non contempla solo la prevenzione, la diagnosi e la terapia delle malattie, ma anche il prendersi cura della persona … Il prendersi cura non ha come oggetto formale la patologia in atto o la sua remissione o la prevenzione di sequele. In questa dimensione, ogni malato è sempre curabile…” Cioè, semplificando, si distingue tra atto medico e atto terapeutico.
Nell’ambito del prendersi cura vengono collocate idratazione e nutrizione che “sono sempre da considerarsi sostegni vitali anche se richiedessero tecniche sofisticate per essere adeguatamente attuate”. In quanto sostegni vitali non possono essere oggetto di DAT.

Le DAT, di cui riteniamo sia una criticità decisiva la possibilità di espressione “ora per allora” su un qualcosa che non si conosce, danno al paziente “l’autonomia di orientare le scelte terapeutiche in un contesto per lui ignoto”, quando “dovesse trovarsi comunque privo permanentemente della volontà di intendere e di volere”. Viene aggiunto che bisogna “tenere in debita considerazione che […] privano della possibilità di contestualizzare e attualizzare la scelta”.

Si torna, secondo noi, al suddetto punto cruciale del rapporto poco chiaro tra autodeterminazione e indisponibilità del bene vita: in questo contesto al medico viene assegnata “la responsabilità, nella situazione data, di attualizzarne le indicazioni”. Per questo, si dice, le DAT non possono essere vincolanti per il medico (che però può essere sostituito). Il presupposto è l’alleanza terapeutica che “si concretizza nel dovere del medico di prestare tutte le cure di fine vita, agendo sempre nell’interesse esclusivo del bene del paziente (art. 39 C.D.).

Una situazione da verificare alla luce del significato che si darà agli obiettivi dichiarati, cioè l’affermazione del diritto alla vita “sempre garantito in tutte le società” e della dignità anche del paziente in stato vegetativo permanente che “è una persona gravemente disabile, ma sempre persona rimane…”

Entrando allora nel merito del testo riteniamo positivo il riferimento alle cure palliative o alla necessità di intervenire sempre e comunque nelle situazioni di emergenza, mentre ci sembra che debba essere fatto uno sforzo per chiarire il significato di alcuni termini che possono essere variamente intesi (da cui sentenze della magistratura, come è già successo, diametralmente opposte): ci riferiamo ad esempio al significato di vita a cui qualcuno dà un’accezione qualitativa riduttiva che incide sul concetto di bene del paziente e di salute, di dignità che non tutti sono d’accordo sia data dall’esercizio di coscienze che si riconoscono in precisi valori, di una responsabilità che qualcuno ritiene sia limitata a se stessi, di un’alleanza terapeutica che va oltre il rapporto di fiducia e presuppone anche la condivisione di valori che per il Medico sono quelli del Giuramento Professionale, di un’eutanasia che bisogna capire se sia veramente ogni azione o omissione tesa a provocare la morte anche pietosa di una persona, di un’autodeterminazione i cui limiti reali andrebbero definiti al di là delle DAT, di accanimento terapeutico.

Tutto ciò premesso, il Consiglio dell’Ordine, nella seduta dell’11/4/2011 ha votato, all’unanimità, quanto segue:
1. La Legge proposta è ridondante dal punto di vista normativo posto che già esistono norme a tutela della Persona;

2. La Legge proposta è disumanizzante, interferendo nel rapporto medico-paziente, sostituendolo con le altre figure previste (commissioni, tutori giuridici ecc.);

3. Se non di segno opposto, non è comunque rispettosa del Codice Deontologico approvato nel 2006.

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