Włodzimierz Rędzioch – Grzegorz Górny, Jerzy Popiełusko martire del comunismo
Dobbiamo dire la verità, quando altri tacciono. Esprimere amore e rispetto, quando altri seminano odio. Stare in silenzio, quando altri parlano. Pregare, quando altri bestemmiano. Aiutare, quando altri non vogliono farlo. Perdonare, quando altri non ci riescono. Rallegrarci della vita, quando altri la disprezzano- Autore:
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Ci sono dei libri da cui non ti staccheresti mai, perché l’eco nel tuo cuore risuona di quelle parole udite, e anche se le hai ascoltate addirittura dal vivo altre volte, leggendole ti aprono orizzonti di vita a e di commozione autentica.
Questo libro di Wlodzimierz Redzioch – Grzegorz Górny, Jerzy Popiełusko martire del comunismo, edito dalle Edizioni ARES, mi ha accompagnato in questi giorni come un dono commovente, straziante, e affascinante.
La vita di Don Jerzy non è un mistero per me, ricordo spesso quei giorni, quelle messe, quella lotta del popolo polacco per la sua dignità e libertà, quella scritta Solidarność che era diventata per me e per molti un distintivo da portare ovunque, ma soprattutto lo sgomento per la notizia del suo rapimento e poi di quella terribile morte. Quelle lacrime sono sgiorgate di nuovo leggendo la vita di Don Popiełusko e soprattutto le testimonianze di coloro che lo hanno incontrato, seguito, servito e amato.
Credo che la forza di questo testo, oltre che alla raccolta delle notizie biografiche – e spirituali – di Don Jerzy, sia legata al fatto che viene mostrata in atto la capacità di un uomo di fede, ora proclamato beato dalla Chiesa, di toccare in maniera indelebile i cuori di coloro che lo hanno incontrato.
Non credo che la lettura di questo libro ci lasci indifferenti. Le parole calano nel cuore con la forza balsamica di un annuncio desiderato, il coraggio che ne nasce sembra essere la conseguenza decisiva nei cuori (ah, leggiamo le parole di Papa Francesco sul cuore!) che si infiammano (se lo augurava Rimbaud nella sua poesia: Venga il tempo dei cuori che si infiammano!).
Le parole si incidono nell’anima come la scoperta di ciò che è più desiderato: una fede capace di parlare a tutti, una mitezza che non è cedimento, una forza che non è sopraffazione, finalmente una Chiesa che sa «costruire la civiltà della verità e dell’amore».
Leggendo questo bellissimo testo mi sono risuonate nel cuore le parole di Don Francesco Ricci, un grande amico della Chiesa e della Polonia, che così presentava a noi italiani le «Omelie per la Patria»:
Un Cavaliere dell’Ideale, di Francesco Ricci [CSEO]
PERCHÉ L’HANNO UCCISO? Era uno dei mille giovani preti che fanno il volto giovane della Chiesa polacca. Ricordo di averli visti tutti insieme raccolti sotto gli altari del primo pellegrinaggio del Papa polacco, a Oswiecim, a Czestochowa, a Cracovia, con la sottana nera e quella, per noi inusitata, cotta di finissima stoffa trasparente ricamata di bianco, i volti da ragazzi, gli occhi limpidissimi, liberi e forti, i nuovi cavalieri dell’ideale, per i quali la paura non ha cittadinanza nella vita né conoscono l’arte clericale del compromesso prudente o dell’accomodamento tiepido. Così li ho rivisti al funerale del Primate Wyszynski, attorno alla bara del Padre-Maestro, una grande macchia bianca che emanava un’onda invincibile di coraggio e di speranza.
Il prete polacco della generazione cresciuta dopo la tragedia dell’occupazione nazista e durante lo scatenamento della violenza stalinista: il suo sacerdozio non ha potuto sbocciare e crescere senza che la sua fede si misurasse con l’umano, con tutto l’umano, e si incarnasse in una umanità impastata di lealtà, di coraggio, di fedeltà, di solidarietà. Servo di Dio e amico dell’uomo, partecipe insieme della forza di Dio e dell’angustia dell’uomo, ma anche dell’umiliazione redentiva di Dio e della sanità umana della gente. Uomo della testimonianza e della compassione, vicinissimo al cielo e alla terra, indomito di fronte all’arroganza del potere e misericordioso verso la debolezza dell’uomo, schiavo della verità e nemico di ogni servilismo, consacratore della libertà e risanatore di tutte le ferite, ministro del sacramento e responsabile per il destino dell’uomo e della nazione.
Come lui ne avrebbero potuti uccidere altri mille, scegliendo a caso la vittima della loro «punizione esemplare».
Certo, anche i preti polacchi hanno i loro difetti e chissà quanti. Ma l’immagine umana che promana dal volto e dalla vita di questo giovane prete e degli altri come lui, rivela un’affascinante bellezza; in essa si manifesta infatti la piena verità dell’uomo: la sua origine in Dio, l’appartenergli come significato dell’esistenza, il suo finale destino di gloria nella pienezza di Dio, tutto in tutti.
Nell’ucciderlo, hanno prima voluto deturpare con orrenda oscenità il volto umano della sua bellezza e nel farlo hanno obbedito inconsciamente a un ordine che gli veniva non «dall’alto», ma dal basso, dall’abisso dell’iniquità nemica dell’uomo e della sua verità.
Il motivo di quella morte, il perché l’hanno ucciso, non trova risposta nelle ragioni politiche del potere e in nessun’altra ragione di questo mondo, ma solo nell’odio verso l’uomo che sale dalle regioni infernali da cui ha origine il male. La sua morte, dunque, è un mistero. Solo chi ama il bene può intenderlo.
Forse leggere questo testo – e diffonderlo – può dare l’impulso a vivere la Chiesa come forza trainante, come luogo di speranza e di resurrezione per gli uomini