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Difensore della culla

Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Riporto alcune pagine del bellissino (e consigliato) libro su Popieluszko a proposito della difesa della vita nascente. Possiamo e dobbiamo imparare.
«Compito della Chiesa non è soltanto quello di annunciare teoricamente la santità della vita, il diritto alla vita dei nascituri, ma anche la protezione di questo diritto. C’è urgente bisogno di avviare iniziative concrete aventi per scopo l’aiuto specifico alle madri sole, alle ragazze incinte, che esitano a far nascere il bambino.»
Grazie agli autori e alla casa editrice ARES

Negli anni Sessanta del XX secolo in uno degli ospedali di Cracovia la fogna si ruppe. La squadra tecnica che arrivò sul posto individuò una ostruzione nel seminterrato.
Il tubo in quel punto era molto largo, quindi quanto lo aveva intasato all’interno doveva essere molto ingombrante. Quando gli idraulici lo aprirono, si presentò ai loro occhi uno spettacolo terrificante: decine di corpi di bambini morti, compattati in massa. Erano vittime di aborti eseguiti in ospedale e poi gettati nello scarico.
Questa storia ha una dimensione allegorica. L’aborto spesso è negato nella coscienza e respinto nelle profondità del subconscio, come in una specie di seminterrato. Ma non si lascia dimenticare e a un certo punto si cede in modo drammatico alla consapevolezza della sua esistenza. Entra in gioco la sindrome del post-aborto.
Molto potrebbero dire su questo in Polonia i pastori d’anime, ai quali si rivolgono tante donne dopo aver posto fine a coloro che erano stati concepiti vivi nei loro grembi. Tanti casi del genere avvennero, specialmente dopo che le autorità sancirono il diritto di ricorrere a questa pratica su richiesta. È vero che già prima della Seconda guerra mondiale, dal 1932, l’aborto era stato legalizzato nella Repubblica polacca, ma soltanto per rigorose indicazioni mediche o a condizione che la gravidanza fosse stata il risultato di uno stupro o di un incesto.
Josef Stalin e Adolf Hitler introdussero per la prima volta l’aborto su richiesta in Polonia. Il primo lo legittimò nel 1939 nei territori orientali della Seconda Repubblica incorporata all’Unione Sovietica, il secondo nel 1943 in quella parte di territorio polacco occupato in cui si era stabilito il governatorato centrale tedesco (Generalgouvernement).
Hitler da un lato proteggeva spietatamente la vita fetale dei non ancora nati della "razza pura, individui ariani", dall’altro invece raccomandava di uccidere i bambini nascituri sospettati di essere malati. Nei Paesi occupati, i nazisti diffusero l’aborto e gli anticoncezionali allo scopo di distruggere le nazioni. Uno dei capi del Terzo Reich, Martin Bormann, disse chiaramente: «Dovere degli slavi è lavorare per noi. La fertilità degli slavi è indesiderata. Lasciateli usare preservativi o fare raschiamenti: più lo fanno, meglio è».
Nel 1945 fu ripristinata la legislazione prebellica, ma il 27 aprile 1956 le autorità della Repubblica Popolare Polacca legalizzarono di nuovo l’aborto su richiesta (ufficialmente a causa delle difficili condizioni materiali, ma nessuno controllava questo aspetto). La sua ampia accessibilità ne provocò una diffusione comune e l’anestesia sociale per il male.
Meno di un mese dopo la legalizzazione dell’aborto, il 16 maggio 1956, il Primate Stefan Wyszynski, all’epoca internato a Komancza, scrisse il testo dei Voti di Jasna Góra della nazione polacca. Tra le sette promesse ce n’era una che riguardava il dovere di proteggere la vita dei non ancora nati:


Santa Madre di Dio e Madre del Buon Consiglio, Ti promettiamo, con gli occhi fissi sulla mangiatoia di Betlemme, che da ora in poi tutti saremo fermi nel salvaguardare la vita nascente. Lotteremo in modo coraggioso a protezione di ogni bambino e di ogni culla così come i nostri padri hanno combattuto per l’esistenza e la libertà della nazione, pagando generosamente con il proprio sangue. Siamo pronti piuttosto a essere uccisi che a uccidere degli innocenti.
Considereremo il dono della vita come la maggior grazia del Padre della vita e il tesoro più prezioso della nazione.

Quando il 26 agosto 1956 il testo dei Voti fu letto a Jasna Góra alla presenza di milioni di pellegrini da tutto il Paese, i radunati rispondevano per ognuna delle sette promesse: «Regina della Polonia, promettiamo!».
Tuttavia, non per tutti le parole della promessa risultarono vincolanti. L’aborto diventò un luogo comune. Al riguardo c’erano poca conoscenza e consapevolezza sociale delle origini della vita umana. Persino nelle facoltà di Medicina non veniva insegnato che il feto, dal primo momento dell’esistenza, è già un uomo. L’unica istituzione che sensibilizzava su questo problema le coscienze umane era la Chiesa cattolica. Per questo motivo subiva molestie. Per esempio, il padre Krzysztof Kotnis, dell’Ordine di san Paolo Primo eremita, a Varsavia, fu arrestato e condannato a due anni di prigione soltanto perché aveva predicato in chiesa contro l’aborto.
Con questa grande sfida per la Chiesa venne in contatto anche don Jerzy Popieluszko quando iniziò a svolgere a Varsavia il ministero pastorale per infermieri, studenti di Medicina e medici. Mentre vi si orientava, si rese conto che il problema numero uno in quell’ambiente era l’atteggiamento nei confronti della vita dei bambini concepiti. Così si espresse:

Compito della Chiesa non è soltanto quello di annunciare teoricamente la santità della vita, il diritto alla vita dei nascituri, ma anche la protezione di questo diritto. C’è urgente bisogno di avviare iniziative concrete aventi per scopo l’aiuto specifico alle madri sole, alle ragazze incinte, che esitano a far nascere il bambino.

Perciò, da un lato sostenne le donne incinte sole e dall’altro si preoccupò di accrescere la consapevolezza etica nell’ambiente medico.
Nell’ambito del servizio pastorale dei sanitari, don Jerzy organizzò seminari ai quali invitava eminenti medici privati del diritto di esercitare la professione soltanto perché non volevano praticare aborti, come per esempio la dottoressa Emilia Paderewska-Chróscicka e il professor Wlodzimierz Fijalkowski, che era stato internato nel campo di Auschwitz-Birkenau.
Quest’ultimo non esitò a paragonare l’aborto al genocidio.
La questione della vita dei nascituri divenne uno dei principali motivi dell’attività pastorale di don Popieluszko.
Una delle persone che parlò al funerale del futuro beato fu il dottor Marian Jablonski, che salutò il sacerdote ucciso a nome dei lavoratori del servizio sanitario. Non solo ricordò i meriti del pastore per la protezione della vita, ma invitò le folle di polacchi là riunite a impegnarsi solennemente a proteggere i nascituri. Come un tempo a Jasna Góra, un coro di voci gridò: «Promettiamo!».
Meno di due mesi dopo la morte di don Jerzy, il 13 dicembre 1984, davanti alla parrocchia di S. Stanislao Kostka fu fondato il Movimento per la difesa della vita intitolato a don Popieluszko. I suoi membri riuscirono a dissuadere molte donne dal praticare l’aborto. Nello stesso luogo sacro, ogni anno il 14 settembre, giorno del compleanno del sacerdote, coloro che lo vogliono possono adottare un bambino concepito. Si impegnano a pregare ogni giorno per nove mesi per un bambino non nato (conosciuto solo da Dio), la cui vita è in pericolo in grembo alla madre, affinché possa nascere ed essere amato.
Quando nel 1990 si svolse il secondo Congresso nazionale di Solidarnosc, il primo dopo la caduta del comunismo, i sindacalisti là riuniti presero una decisione eccezionale: s’impegnarono a introdurre in Polonia una legge a protezione della vita dei nascituri. Non è un caso che sia successo il 23 aprile. Come spiegò una delle dottoresse delegate, la dottoressa Barbara Fraczek: «Oggi stavamo pensando a un regalo per don Jerzy Popieluszko nel giorno del suo onomastico. Don Popieluszko fu sostenitore e iniziatore del movimento in difesa della vita concepita nel nostro Paese e non vedo regalo più bello nel giorno del suo onomastico che accettare all’unanimità questa risoluzione».
Subito dopo fu adottato un nuovo codice di etica medica, in cui si menzionava la protezione della vita dal momento del concepimento. Le maggior parte delle cliniche e degli ospedali si rifiutarono di eseguire aborti. La federazione polacca dei Movimenti per la vita scelse don Jerzy Popieluszko come proprio patrono.
Infine, il 7 gennaio 1993, il Parlamento della Repubblica polacca «promulgò la legge sulla pianificazione della famiglia, la protezione del feto umano e le condizioni di ammissibilità di interruzione della gravidanza». Introdusse il divieto di aborto volontario e per difficili condizioni materiali. In tal modo, la Polonia è diventata il primo Paese al mondo che è passato in condizioni democratiche dalla legislazione favore dell’aborto alla legge in difesa della vita dei nascituri.

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