Eravamo quattro insegnanti e mamme...
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Eravamo quattro insegnanti e mamme, un albergatore, un venditore di legna, una ragazza di 18 anni.
Più o meno amici, più o meno sconosciuti.
Si parte con un’amarezza indicibile, e per due ore ognuno un po’ vomita la sua, il suo dolore.
“Quel parroco non è venuto”, “i miei amici nemmeno”, “nel mio asilo piuttosto di fare quei programmi mi faccio licenziare”, “ma quelli dei movimenti dove sono finiti?!”, ed io che sono di CL da 13 anni soffro ancor di più a sentire quante ne dicono. Confermo tutto, dentro di me, ma che male!
Piano piano il viaggio si alleggerisce, siamo tutti curiosi di conoscerci. Parliamo di noi, e ad un certo punto parte il rosario. Il nostro autista ha comprato il pulmino apposta, per questo tipo di viaggi-pellegrinaggi. Ha una serie di rosari pronti a disposizione, e via. Si nomina ogni famiglia, tutti gli amici; si prega per noi, per chi non è qui, per il Papa, ma soprattutto per i governanti.
È strano. O forse è proprio così che funziona. Da lì in poi, niente più polemiche e tristezza; parliamo di cose belle e qualcuno della sua conversione. Rimaniamo veramente stupiti di quanta amicizia si nasconda dentro una giornata partita ferita.
Arriviamo a Roma con un sole pazzesco; Silvia infila la sua maglietta della Manif e si parte felici, benedetti dal sole visto che prevedevano pioggia. L’energia che abbiamo addosso ci fa dimenticare tutti gli ombrelli in macchina che dopo tre ore compreremo daccapo.
Quello che è accaduto non è da scrivere, perché solo chi come noi, per entrare nel prato, ha dovuto scavalcare i neonati e le giovani famiglie può capire.
Sono loro i protagonisti veri, il comitato di accoglienza che subito mi ha fatto scrivere a mio marito un sms “la prossima volta viene tutta la famiglia”, che ha fatto piangere la più arrabbiata del gruppetto... Il conforto viene dal non sentirsi più soli.
Quando è finito tutto, ed è ripresa la pioggia, uscendo, dopo pochi metri eravamo di nuovo fradici e come tanti ci siamo infilati in un bar.
Bar “Il colosseo”, al n. 90.
Tre bicchieri di acqua e due caffè.
Il barista ci risponde “com’è andata?” come il primo amico che ti vede.
“Ho cercato tutto il tempo in tv ma non hanno fatto vedere niente”.
“Grazie che c’eravate”, e iniziamo a parlare.
Guardo con attenzione. Sta succedendo qualcosa di strano.
“Prima non mi interessavo, ma da quando sono papà…”
Fabio ha una coscienza approfondita di tutto, e parla come se fosse stato pure lui a San Giovanni.
Impressionante.
Mi viene in mente la mia amica giornalista Annalisa, che qualche giorno fa mi aveva detto di confidare nel buon senso dell’uomo comune.
Ci saluta dicendoci grazie. Grazie per la compostezza, l’ordine, la nostra mitezza...
E ci ricorda che siamo molto di più di un milione.
Guardo l’insegna all’uscita, il numero civico, e risento don Giussani quando diceva che non c’è cosa più grande di un uomo che dice io.
Questa è la nostra “San Giovanni”.