8° comandamento: «Non dire falsa testimonianza»
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Non riesco proprio a cancellare dalla mente quello che ha detto Scalfari nella recente conferenza stampa in cui ha spiegato il «retroscena» della sua intervista al Papa: “Sono dispostissimo a pensare che alcune delle cose scritte da me e a lui attribuite, il Papa non le condivida, ma credo anche che ritenga che, dette da un non-credente, siano importanti per lui e per l’azione che svolge”. Dire il falso, volutamente e con la presunzione di poter insegnare al Papa.
Ma non è questa la definizione del Maligno, da Gesù chiamato «padre della menzogna»?
«Scritte da me e a lui attribuite». Ma scherziamo? «A lui attribuite»? Cioè, fare dire all’interlocutore quello che noi vogliamo, senza un briciolo di pentimento, anzi, con la fierezza di essere tra coloro che dicono cose «importanti per lui e per l’azione che svolge»?
«No, amico» – scusate la mia presunzione, ma lo dico nel senso con cui Gesù ha chiamato Giuda, il traditore, quando gli si è avvicinato baciandolo – «di questo fanta-giornalismo non sappiamo che farcene».
Già un collaboratore de La Repubblica scriveva, a proposito del Vietnam: «Mentivamo sapendo di mentire». Ma ha avuto il coraggio di pentirsi, ritrattare e cambiare rotta, perché «la verità vi farà liberi».
Un testimone oculare di quanto accade in Siria mi ha raccontato che la TV italiana ha dato notizia della strage operata dai «ribelli» (meglio chiamarli col loro nome, però, e cioè terroristi) che hanno sgozzato 120 militari fedeli ad Assad, attribuendo questo orribile delitto alle forze governative perché quei militari si sarebbero opposti all’ordine di sparare sulla folla. Nooooo!!! Basta con queste notizie spazzatura! Basta con questo mentire spudoratamente, facendo credere di fare opera buona. Non accettiamo la logica leninista della «menzogna utile», al «bene della causa» per cui si giustifica ogni ingiustizia e falsità.
Papa Francesco ha detto, nel suo primo incontro con i giornalisti, che hanno il compito di comunicare «bellezza, bontà e verità».
Sì, ha anche detto che in Gesù non ci sono parole di condanna, ma solo misericordia e perdono. Riporto: «Gesù pronuncia solo la parola del perdono, non quella della condanna; e quando l’uomo trova il coraggio di chiedere questo perdono, il Signore non lascia mai cadere una simile richiesta».
Il perdono va richiesto, e allora ci sarà per tutti.
E pensiamo a Zaccheo: quando Gesù va in casa sua, sfidando l’opinione di tutti i benpensanti, perché era un peccatore pubblico, non si vanta di fronte al Signore, millantando una preferenza di Gesù perché lo aveva scelto [«credo anche che ritenga che, dette da un non-credente, siano importanti per lui e per l’azione che svolge»], ma in ginocchio gli ha chiesto perdono, promettendo di cambiare vita.
Se c’è chiarezza, si può camminare insieme. Nella presunzione, sarà un dialogo tra sordi.
P.S.: Deve essere un metodo collaudato quello di «forzare la mano» all'interlocutore. Basti pensare a quello che disse tempo fa Ignazio Marino a proposito della sua intervista al Card. Martini!