Io sto col Papa 4 - "Progressisti" e "Tradizionalisti"
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Sceglieremo il Papa su Facebook?
Più ancora del contenuto dell’articolo di Gnocchi e Palmaro, mi ha colpito il titolo: “Questo Papa non ci piace”. Una domanda sorge spontanea: ma da quando un Papa deve piacere a voi per fare il Papa? Che sia stato scelto dai due autori dell’articolo o da qualche anonimo titolista, quel “non ci piace” è in ogni caso molto significativo: è il sintomo della diffusione all’interno della Chiesa di una mentalità sbagliata, intrinsecamente post-moderna, secondo cui il Vicario di Cristo dovrebbe comparire ogni giorno di fronte ad una giuria popolare composta da un miliardo di cattolici, quasi che i semplici fedeli fossero i veri custodi e garanti della Tradizione e il Papa non fosse che un semplice rappresentante dei fedeli. Immaginate un futuro distopico in cui ogni pronunciamento e ogni azione del Papa sia “messa ai voti” su Facebook dai fedeli, tutti intenti a cliccare compulsivamente “mi piace” o “non mi piace” (rispettivamente pollice in alto e pollice in basso). Gnocchi e Palmaro hanno già cliccato il pollice all’ingiù sul Foglio. Poco ci manca che qualche zelante cattolico post-moderno chieda che la prossima volta i padri riuniti nel conclave consultino il popolo dei fedeli prima di scegliere il nuovo Papa: “Cari fedeli, chi vi piace di più? Ditecelo su Facebook”. A questo punto, i fedeli votanti potrebbero polarizzarsi su due schieramenti principali: i progressisti e i tradizionalisti. I primi sceglieranno il candidato che promette di stravolgere e infine liquidare completamente la tradizione preconciliare, i secondi sceglieranno quello che promette di liquidare completamente ogni lascito del Concilio Vaticano II. Se i primi sognano una sorta di “rivoluzione permanente”, ossia stravolgimento permanente della Tradizione, i secondi invece sognano la fissità permanente della Tradizione. Entrambi fanno fatica a capire che la Tradizione è come un corpo vivente che cresce. Tutti all’inizio siamo neonati, nessuno lo resta. Crescere non significa diventare altro ma sviluppare quelle potenzialità fisiche e intellettuali che abbiamo dentro fin dall’inizio (per parlare tomista, crescere significa passare dalla potenza all’atto). Considerando dunque che la Tradizione è come un corpo vivente, ebbene i progressisti non capiscono che per crescere e perfezionarsi deve rimanere sé stessa, i secondi non capiscono che per rimanere sé stessa deve crescere e perfezionarsi. Gnocchi, Palmaro, Rossi e De Marco non sono progressisti ma non sono neppure propriamente tradizionalisti, perché non rifiutano il Concilio Vaticano II nel suo complesso. Tuttavia, sono molto vicini ai tradizionalisti, in quanto giudicano deleterio ogni tentativo di “dialogo” con la modernità e rigettano con sdegno il concetto stesso di “ecumenismo”.
Il Concilio, il dialogo e l'ecumenismo
A Scalfari il Papa ha detto: «Il Vaticano II, ispirato da Papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare» (Eugenio Scalfari, “Il Papa: così cambierò la Chiesa”, La Repubblica, 1 ottobre 2013). Su Civiltà cattolica ha aggiunto: «Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi» (Antonio Spadaro, “La Chiesa, l’uomo, le sue ferite: l’intervista a Papa Francesco”, Civiltà Cattolica, 19 settembre 2013). De Marco commenta: «Tutto ciò suona come un a priori poco critico: quanto distruttivo “ecumenismo” e quanto “dialogo” subalterno alle ideologie del Moderno abbiamo visto all’opera nei decenni passati, a cui solo Roma, da Paolo VI a Benedetto XVI, ha posto un argine! Il Bergoglio che criticò le teologie della liberazione e della rivoluzione non può non sapere che il “dialogo con la cultura moderna” attuato dopo il Concilio fu ben altra cosa che un garbato “ecumenismo”» (Pietro De Marco, “Un messaggio allo stato liquido”, 2 ottobre 2013). Gnocchi e Palmaro aggiungono: «Proprio così, non più il mondo messo in forma alla luce del Vangelo, ma il Vangelo deformato alla luce del mondo, della cultura contemporanea. E chissà quante volte dovrà avvenire, a ogni torno di mutamento culturale, ogni volta mettendo in mora la rilettura precedente: nient’altro che il concilio permanente teorizzato dal gesuita Carlo Maria Martini» (Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, “Questo Papa non ci piace”, Il Foglio, 9 ottobre 2013).
Impossibile negare che oggettivamente, all’indomani dell’ultimo Concilio, molti “progressisti” hanno volutamente e colpevolmente usato il “dialogo” e l’ “ecumenismo” come armi per combattere contro la Tradizione, per ferirla e infine per dissolverla nell’acido delle peggiori ideologie di questo mondo. Ma il fatto che i “progressisti” li abbiano usati male non significa che i concetti di dialogo e di ecumenismo siano intrinsecamente malvagi e che dunque debbano essere rifiutati. Soprattutto, le evidenti colpe dei “progressisti” (perché di colpe si tratta) non devono indurci a rifiutare in blocco l’eredità del Concilio Vaticano II. E’ qui opportuno citare l’antico detto che recita: non bisogna buttare via il bambino con l’acqua sporca. A non buttare via il bambino ci aiuta Massimo Introvigne: Con la sua «ermeneutica della riforma nella continuità» Benedetto XVI «invitava ad accogliere lealmente gli elementi di riforma del Concilio interpretandoli però non contro il Magistero precedente ma tenendo conto di questo. La proposta fu rifiutata a sinistra, e spesso capita male a destra. Qui si plaudì alla continuità dimenticandosi della riforma, e si credette che il Papa autorizzasse ad accogliere, del Vaticano II, solo quanto avesse presentato in modo nuovo («nove») quanto era già stato insegnato prima, rifiutando invece quanto era in effetti «novum», nuovo, non - secondo Benedetto XVI - in contraddizione con il Magistero precedente ma certo non riducibile a questo. Non era così. Questa «destra» interpretò il discorso di commiato di Papa Ratzinger ai parroci romani del 14 febbraio 2013 come un'ammissione che l'ermeneutica della riforma nella continuità era fallita. Mentre quello che era fallito era il tentativo di usare Benedetto XVI per rifiutare il Concilio» (Massimo Introvigne, “Capisco il disagio ma nella chiesa o si cammina con il Papa o si va verso lo scisma”, Il Foglio, 11 ottobre 2013).
Senza il Vangelo non ci sarebbe stata la Modernità
Vorrei aggiungere una piccola nota a margine. Il Papa ha auspicato una «rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea» e ha sottolineato che il Concilio «ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo». Per tagliare corto, possiamo ammettere che il Vangelo venga riletto alla luce della cultura contemporanea per la semplice, scandalosa, scioccante ragione che senza il Vangelo non ci sarebbe mai stata neppure una Modernità. All’interno di quella che genericamente si definisce cultura contemporanea (moderna e post-moderna) si possono distinguere due tendenze principali, la prima negativa e la seconda positiva: la tendenza al totalitarismo politico, allo scientismo positivista e al relativismo morale e culturale (che sul lungo periodo porta all’estinzione graduale dello stesso pensiero scientifico) e la tendenza al pensiero scientifico, alla democrazia, al liberalismo e perfino alla parità fra uomo e donna. La prima tendenza discende dall’Illuminismo ateo, la seconda discende direttamente dal Cristianesimo. Non ci credete che la scienza, il liberalismo e la democrazia discendono direttamente dal Cristianesimo? Allora leggetevi con calma La vittoria della ragione di Rodney Stark, How the Catholic Church built the western civilisation di Thomas E. Woods e Controstoria di Luigi Negri. Non ci credete che perfino lo screditato femminismo discende dal Cristianesimo? Allora ripassatevi la vicenda di santa Edith Stein e rileggete il suo saggio La donna. Quindi, dialogando fra loro, sia la cultura contemporanea che la cultura cattolica potranno perfezionarsi. La cultura contemporanea sarà aiutata a liberarsi gradualmente dal suo “lato oscuro” di derivazione atea, che tanti orrori ha già prodotto nella storia recente, mentre la cultura cattolica sarà aiutata a liberarsi di alcune idee obsolete, che cento o duecento anni fa potevano ancora avere qualche senso ma che oggi nel migliore dei casi non ne hanno nessuno e nel peggiore sono radicalmente ingiuste. Possiamo ancora considerare cattolicamente valida l’idea, che è andata per la maggiore all’interno della Chiesa fino al XIX secolo, che il trono fosse necessario all’altare? E per inciso, il culto del “trono” in un certo senso era antiquato già nel Medioevo, dal momento che la cultura cristiana portava naturalmente alla democrazia (forme di democrazia diretta funzionavano non soltanto nei comuni ma anche nei feudi). E possiamo ancora accettare quei brani della vecchia teologia, troppo succube del pagano Aristotele, che definivano la donna un “maschio mancato” (“mas occasionatus”) e alimentavano la superstizione misogina di origine giudaica (tuttora cara ai tradizionalisti) secondo cui la donna non avrebbe altra preoccupazione nella vita che indurre l’uomo in tentazione e quindi sarebbe opportuno chiudere bene a chiave le donne dentro casa e farle stare zitte? Santa Hildegard von Bingen, santa Caterina da Siena e santa Edith Stein e altre innumerevoli sante, che erano tutto fuorché “teologhesse vetero-femministe” (per riprendere una espressione sprezzante usata da Palmaro sul Foglio di mercoledì 16 ottobre), non son state zitte. L’ebreo san Paolo non voleva che la donna insegnasse ma santa Edith Stein ha ottenuto perfino una cattedra universitaria.
Cristianesimo e cultura
A questo punto, i tradizionalisti obiettano che tutto questo “dialogo” con la cultura contemporanea ci induce fatalmente a ridurre la Vera Religione ad un fenomeno di cultura e di civiltà che si confonde con la cultura e la civiltà occidentali. Chiariamo bene le cose: il Cristianesimo non è pura cultura e tuttavia ha bisogno di una cultura. Quindi, chi riduce il Cristianesimo a cultura sbaglia, ma sbaglia anche chi pretende che il Cristianesimo sia pura fede senza cultura. Non è certo che i tradizionalisti rifiutino a priori ogni cultura che pretenda di affiancarsi alla fede; certo è invece che i tradizionalisti rifiutano in blocco ogni aspetto della civiltà occidentale contemporanea e sperano che la Chiesa se ne stacchi al più presto. Non a caso, oggi i tradizionalisti anti-Bergoglio dicono che i cattolici rimasti fedeli a Bergoglio sono tutti “cristianisti”. Con l’appellativo derisorio di “cristianisti” essi designano non soltanto (in questo caso giustamente) quanti riducono la Vera Religione a un fenomeno di cultura e di civiltà ma anche quanti sostengono che la Vera Religione, pure non potendosi identificare con una cultura e una civiltà, deve comunque esprimersi anche attraverso una cultura e una civiltà che non possono che essere la cultura e la civiltà occidentali, necessariamente intrise anche di apporti giudaici. Ma allora in questo senso anche Ratzinger, che gli anti-Bergoglio rimpiangono rumorosamente, è “cristianista”. In Fede, verità, tolleranza. Il Cristianesimo e le religioni del mondo (Cantagalli 2003) l’allora cardinal Ratzinger scriveva che fra Cristianesimo e civiltà occidentale (s’intende il nucleo sano della civiltà occidentale, quello che è stato formato direttamente dal Cristianesimo) c’è un legame indissolubile, simile a quello che intercorre fra anima a corpo. Tuttavia in seguito, divenuto Papa, ci ammoniva anche: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista» (Lisbona, 11 maggio 2010). E oggi Papa Francesco, memore dell’ammonimento di Ratzinger, antepone l’annuncio del volto misericordioso di Dio ai discorsi sulla morale, sulla legge naturale, e sulla cultura cristiana, senza tuttavia negarne l’importanza. In conclusione, Ratzinger e Bergoglio, fra i quali c’è una continuità profonda, quasi un rapporto complementare, sono nel “giusto mezzo”. Paragonando la fede all’anima, ebbene Ratzinger sottolinea maggiormente che l’anima ha bisogno del corpo, mentre Bergoglio sottolinea maggiormente che il corpo senza l’anima è morto. Altro che “cristianisti”.
"Cristianisti" e "normalisti"
I cattolici rimasti fedeli a Papa Francesco sono marchiati a fuoco con diversi appellativi poco lusinghieri dai cattolici anti-Bergoglio. Se i tradizionalisti tout court li chiamano “cristianisti”, invece Gnocchi e Palmaro li chiamano “normalisti”. I due ex conduttori di Radio Maria se la prendono infatti con «quei cattolici intenti pateticamente a convincere il prossimo, e ancor più pateticamente a convincere se stessi, che nulla è cambiato. E’ tutto normale e, come al solito, è colpa dei giornali che travisano a bella posta il Papa, il quale direbbe solo in modo diverso le stesse verità insegnate dai predecessori» (Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, “Questo Papa non ci piace”, Il Foglio, 9 ottobre 2013). Io personalmente credo che l’epiteto “normalisti” si adatti meglio a loro, i cattolici anti-Bergoglio vicini ai tradizionalisti. Più che un Papa pre-conciliare, essi vogliono infatti un Papa “normale” che dica cose cattolicamente “normali” ossia identiche a quelle che sono già state dette dai suoi illustri predecessori. Da questo punto di vista, i cattolici fedeli a Papa Bergoglio non sono affatto “normalisti”: accettano docilmente che il Papa dica e faccia anche cose diverse da quelle che sono già state dette e fatte dai suoi predecessori, cose imprevedibili, nuove e allo stesso tempo antiche, eterne, già contenute, in potenza, nella Tradizione. Nel corso della storia, nessun Papa è stato “normale”. Nessun Papa è stato un ripetitore automatico di cose cattolicamente “normali” ossia già digerite dai fedeli. Ogni Papa ha detto e fatto cose nuove, che non si potevano prevedere. Nel corso della storia, infine, ogni Papa ha avuto un certo numero di detrattori non solo all’esterno ma anche all’interno della Chiesa. Qualcuno forse si ricorda che, non appena fu annunciata l’elezione di Papa Ratzinger, molti fedeli presenti in piazza san Pietro manifestarono la loro scontentezza sotto le telecamere della Rai. Dicevano tutti più o meno: “Questo Papa reazionario ci farà tornare indietro”. Ma Ratzinger non era un “reazionario”, tanto è vero che ha invitato i fedeli a non rifiutare l’eredità del Concilio Vaticano II. Simmetricamente, oggi gli anti-Bergoglio dicono: “Questo Papa progressista distruggerà la Tradizione”. Ma Bergoglio non è “progressista”, tanto è vero che in passato ha combattuto contro la teologia della liberazione. La verità è che sia Bergoglio che Ratzinger sono nel “giusto mezzo” fra i due estremi opposti mortali del progressismo auto-distruttivo e del tradizionalismo sclerotico.