“Vi rispettiamo troppo per sventolarvi Verità rivelate” (?)
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Quando si sente del suicidio di un giovane, la prima reazione è quella del silenzio e del rispetto di fronte a quel grande mistero che è l’esistenza di una persona così facile ad entusiasmarsi per quel che di bello la vita offre, come una bella amicizia, una scoperta importante, come pure a intristirsi fino alla morte per una delusione, una incomprensione, un sentirsi non stimati, voluti bene, un sentirsi immersi in una solitudine tremenda, senza vie d’uscita. Il secondo gesto è quello della preghiera, che nasce dalla certezza che l’uomo non è definito dalle sue debolezze e fragilità, ma dalla misericordia di Dio, che non ha esitato a dare la vita per l’ultimo dei suoi figli.
Poi facilmente si viene presi dallo sdegno: “Fatti così non devono più accadere, in una società umana degna di questo nome!”
Ma riflettendo a fondo sul dramma di quel ragazzo risuona in me il grido inascoltato degli studenti del Liceo di Catania dopo l’omicidio dell’ispettore di polizia Raciti, durante gli scontri avvenuti qualche anno fa fuori dallo stadio di Catania: “Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a trovare il senso del vivere e del morire, qualcuno che non censuri la nostra domanda di felicità e di verità... Per questo chiediamo innanzitutto ai prof e alla scuola che prendano sul serio le nostre vere esigenze. Che non debba accadere che un ragazzo finisca male o che comunque perda il gusto del vivere perché a scuola s’è trovato attorno, soprattutto fra gli educatori, gente rassegnata, opportunista e vuota”. Non è questo il grido “strozzato” di tanti suicidi?
Penso che pochi si ricordano la risposta allucinante, sprezzante dei docenti del liceo: “Non possiamo né vogliamo darvi delle risposte... Proporvi o imporvi delle verità è integralismo, cioè barbarie, e pertanto questo atteggiamento non può aver luogo nella scuola pubblica, cioè democratica e laica. Vi rispettiamo troppo per sventolarvi Verità rivelate”. Mi colpisce quel “proporvi delle verità è barbarie!”
La cultura che oggi si trasmette nelle scuole è la cultura dell’autonomia, dell’“arrangiati”, dell’assenza di legami. Un insegnante non può e non deve dire questo è vero, questo è falso, non appena afferma che una cosa è vera manca di rispetto all’altro. Un insegnante così di fronte alle urgenze e ai problemi della vita e alla necessità di decidere se una cosa è vera o meno, è come se dicesse al giovane che ciascuno è solo e non può chiedere il confronto di chi ha già vissuto una determinata esperienza; così lascia il giovane in balia dei media, di internet, dei messaggini, della compagnia effimera del sabato sera.
Un altro aspetto che mi colpisce è il non riconoscimento del senso della debolezza e della fragilità presente nella persona del giovane, come in ogni persona, tuttalpiù quando questa fragilità raggiunge delle manifestazioni giudicate patologiche, si ricorre allo psicologo. Invece la fragilità e la debolezza costituiscono il segno più evidente della domanda, del grido di un rapporto, di un dialogo con un adulto che abbia confidenza con la vita, che abbia la capacità e la forza di un giudizio, che abbia qualcosa da proporre sul senso della vita, del dolore, della morte, che abbia il coraggio di dire ciò che favorisce la crescita di una persona e ciò che invece la fa restare bambino o la distrugge. In un rapporto così un giovane acquista stima di sé, prende coscienza del proprio valore, impara a giudicare.
Come spesso ho ripetuto il vero dramma, la vera emergenza educativa è l’assenza di rapporti reali, veri col mondo degli adulti. Il problema della scuola di oggi sembra esser quello della competenza, di un approccio “scientifico” all’insegnamento, del far acquisire delle abilità, del somministrare test che “misurano” competenze e abilità, del saper utilizzare griglie di valutazione sempre più complesse, per cui la preoccupazione dell’insegnante è quella del bagaglio tecnico, scientifico e didattico che possiede, dei corsi di aggiornamento che ha frequentato e non la capacità di instaurare un rapporto coi giovani.
Questo tradisce la domanda dei giovani, che è domanda di incontrare dei “maestri”, cioè delle persone che attraverso quel che sono e quel che insegnano introducono il giovane al senso del reale. La conoscenza dell’italiano, della matematica, del latino è un pezzettino della conoscenza, il giovane ha bisogno di un rapporto di un adulto, di una esperienza umana che allarghi il suo orizzonte e che comprenda tentativamente tutto: i fiori, le stelle, gli amici, il cinema, la musica... Occorrono adulti che provochino la libertà del giovane e lo accompagnino nell’avventura della conoscenza del senso della vita.
La mia esperienza è che là dove c’è questo rapporto la gente diventa grande, matura, sperimenta un gusto per la vita, mai sperimentato prima, come documenta una breve, semplice testimonianza di una mia ex alunna.
Esperienze così possono ridare un volto a un uomo sempre più deturpato, costituisco la resistenza al processo in atto della “Cernobyl dell’io”.
“I miei ultimi tre anni di scuola sono stati molto educativi. L’incontro di persone che mi hanno avvicinato al Signore è stato fondamentale per terminare il mio percorso scolastico in modo eccellente. Questi tre anni mi hanno appassionato molto alla letteratura e alla storia. Ricordo che nel biennio le materie letterarie sono state per me una sorta di incubo, ma con la dedizione di un grande insegnante sono diventate qualcosa di diverso, di più. Non era più il semplice studiare per un voto, studiare è diventata una passione che arricchiva me stessa. Studiare è diventato un arricchimento e ancora adesso sono pronta a sostenerlo. Lo studio porta alla formazione della persona. Ho avuto l’occasione di conoscere Franco Elisa ed Elia che hanno saputo ascoltare le mie richieste, in particolare quelle che arrivavano dal profondo del cuore, domande che ancora oggi molti hanno timore a porsi, ma che hanno necessariamente bisogno di una risposta. È stato importante lasciarsi accogliere da persone che vogliono il mio bene.
Gli incontri scolastici ed extra scolastici mi hanno permesso di focalizzare i dubbi sulle questioni importanti, serie. Ho imparato a riflettere sugli argomenti seri, profondi della vita e a discuterne, cercando insieme di trovare risposte anche con l’aiuto di persone come i grandi autori (Dante) oppure testimoni come Don Giussani.
L’ultimo anno è stato impegnativo, ma il mio impegno ha dato i suoi frutti. Ho iniziato l’anno con ottimi risultati, ma la mia paura rimaneva quella di cedere proprio nell’ultimo periodo. Ho chiesto aiuto al Signore come non avevo mai fatto prima. Ho sentito un forte cambiamento in me e sapevo che con il Suo aiuto sicuramente sarebbe andato tutto bene. La preghiera è stata fondamentale perché ho avuto un contatto ravvicinato con Lui. Chiedevo di essere sempre fedele alla sua Parola e chiedevo il bene per me e per gli altri. Credo che questa esperienza mi abbia fatto capire molte cose: io non avrei ottenuto un simile risultato se non mi fossi sentita aiutata e confortata nei periodi più intensi. Sono fiera di me stessa e del mio percorso. Sono pronta a rifarlo con la stessa passione, dove la vita mi porterà.
Un ringraziamento speciale a voi tutti che mi avete accompagnata in questi anni.
Con affetto”,
Martina