... e avrà i tuoi occhi
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(Cyril Connolly, La tomba inquieta, 1944)

Questo e solo questo, quando muore qualcuno suicida. Silenzio. Preghiera, per chi crede. Null’altro.
Che sia un giovane, un vecchio, un uomo, una donna non conta. Non conta nemmeno il motivo per cui chi si è ucciso ha compiuto quel gesto che più disumano non c’è. Chi può entrare nel cuore e nella mente di un altro e pensare di sapere “perché”?
E allora vergogna a chi usa chi muore. Vergogna ai moderni avvoltoi, che in picchiata arraffano cadaveri e li esibiscono come trofei!
Eccola, l’ultima bandiera dell’associazione Lgbt, che non ha aspettato indagini, non ha aspettato il funerale, perché gli avvoltoi le occasioni le prendono al volo. Giù, tutti in piazza: il quindicenne del liceo Cavour che a Roma si è tolto la vita è vittima – un’altra – dell’omofobia. Questo si è detto nel passaparola.
Cosa vuoi che gliene importi a questi della verità, del dolore dei familiari, delle smentite dei compagni, dei docenti, degli altri genitori. Cosa vuoi che gliene importi, a questi, del grido disperato di un giovane. Cosa vuoi che gliene importi della vita e della morte. Niente. Il fine giustifica i mezzi, e meglio se il mezzo è un ragazzo di quindici anni che a novembre, un giorno, si è tolto la vita, e lo sa solo lui il perché. Quindici anni fa bene alla causa, e pazienza se lui non c’è più.
Zitti, invece. Si fa silenzio di fronte alla morte. Davanti alla fragilità di chi nel tunnel non ha trovato spiragli di luce, speranza. Nel silenzio senza slogan si fan strada le domande che sono le stesse ogni volta, le stesse per tutti. Sono domande che interrogano la nostra vita, perché si decide di morire quando non si sa perché vale la pena aprire gli occhi al mattino. E ci interrogano come adulti, incapaci di testimoniare, ancora, che ogni vita è degna di essere vissuta. Che la fatica ha un senso. Il dolore ha un senso. Crescere è faticoso e doloroso, come il travaglio di un parto, e noi non sappiamo più dire che ogni travaglio è preludio di bene (quale gioia più grande che vedere il volto di un figlio, carne della tua carne…)
E allora non esistono vite di serie A e vite di serie B. Suicidi di serie A che meritano risonanza mediatica e suicidi di serie B che non valgono niente.
Ieri nel web è stato un tam tam di commenti per sentito dire. Oggi nei giornali s’è scritto che un giovane è morto “per un pregiudizio” e così ci si sente con l’animo in pace. Abbasso gli omofobi, la colpa è la loro. Noi non c’entriamo.
E invece “come le luci del penitenziario si smorzano quando viene accesa la corrente per la sedia elettrica, così trema il nostro cuore davanti a un suicidio”.
Abbiamo perso un ragazzo, un altro. Aveva un nome e un cognome. Non siamo stati capaci di dargli ragioni per vivere.
La sua morte è dolore di tutti. E’ sconfitta che interroga il cuore.
Ascolta il brano commovente di Schubert, La morte e la fanciulla