Anche il silenzio è pubblicità
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“Parlare o tacere? This is the question”.
E’ un’annosa querelle che si ripropone periodicamente con cronometrica puntualità: parlare, ossia reagire alle provocazioni, rispondere alle offese e alle bestemmie, ingaggiare una polemica con chi si fa sostenitore di posizioni menzognere o insultanti?
Oppure tacere: “non ragioniam di lor ma guarda e passa”, non dare evidenza al negativo ma valorizzare il positivo, non cadere nelle trappole?
E soprattutto: “non reagire perché così gli fai pubblicità”. Questo è l’argomento principe di chi opta per il silenzio: l’intervenire sarebbe un favore ancor più grande fatto a chi cerca solo visibilità e si alimenta della polemica.
Non saremmo così sicuri che “la parola è d’argento, ma il silenzio è d’oro” , almeno non sempre e non comunque. C’è un silenzio equivoco che nasce da un amore del quieto vivere, da un tirarsi indietro che non si sporca le mani e non si compromette.
Questo silenzio da un lato non arriva ad un giudizio e quindi non aiuta chi cerca di vederci chiaro; dall’altro diventa di fatto connivente col male, che trionfa anche per il “silenzio dei buoni”.
“No all’attivismo, no all’intimismo” ci siamo sentiti di recente ridire da un grande autorevole amico.
E’ vero che non bisogna diventare bersagli del tiro a segno mediatico, o contribuire al polverone generale; ma quando il polverone si è già sollevato forse un buon vento impetuoso lo potrebbe diradare, con vantaggio di tutti e soprattutto della verità.