I Veilleurs: la Veglia per il domani
«C’est la nuit qu’il est beau de croire à la lumière!» «È la notte che è bello credere alla luce!»Edmond Rostand
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I cattolici di Francia si sono spesso divisi per sapere come testimoniare. Dove trovare il giusto equilibrio tra le differenti indicazioni del vangelo: sale della terra o luce del mondo? Come amalgamare le contraddizioni della nostra storia: silenzio in nome della laicità o manifestazione in nome della testimonianza?
I fautori del nascondimento e i sostenitori del lampadario sembrano riconciliarsi in una modalità fondamentale: quella della veglia.
Cerchi di silenzio, veilleurs del matrimonio e della filiazione, veilleurs della fraternità, madri veilleuses: tutte persone che hanno scelto il silenzio per grido, un punto immobile per muovere le cose, la posizione seduta per stare in piedi.
Chi vegliano? Cosa vegliano? I rifugiati. I bambini. La fraternità. […]
Dimmi chi vegli e ti dirò chi sei. Cosa sono quelle cose che nel tuo intimo ti fanno “vegliare fino a tardi”?
La loro veglia è, innanzitutto, un risveglio. Uno stato di coscienza che vuole mantenere vivo ciò a cui mai rinunceremo, ciò che mai molleremo: l’accoglienza dello straniero, il rispetto del bambino, la cura della fraternità.
È, in fondo, il primo atteggiamento cristiano prima ancora dell’ascolto, perché suppone dapprima di essere svegli, attenti, disponibili. Nulla può penetrare la mente incosciente, addormentata, ipnotizzata.
Una luce in mano, nel cuore o riflessa negli occhi; essi sono le sentinelle della civiltà dell’amore. Essi rispondono all’ordine di Gesù: “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!” (Mc 13,37).
Di questa veglia per tutti, non sappiamo né il giorno né l’ora; c’è dunque urgenza. Ce lo chiede sempre: la veglia per il domani.
Ogni volta che tu vegli l’uomo, tu ti avvicini un po’ di più a Dio. È Dio che, per primo, veglia su di noi come una madre preoccupata dei suoi figli, come un padre che ama vegliare, colmo di stupore.
Pierre Durieux
Editoriale mensile diocesano Eglise à Lyon, n°6, giugno 2013, p.3.
Traduzione di Don Pierre Laurent Cabantous