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Allergici ai doveri e ubriachi di diritti

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell’insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l’accompagna dileguandosi le irrequietudini, le avidità, l’egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l’immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c’è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l’attività dell’individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorìo universale, dalla ricerca del benessere materiale alle più elevate ambizioni, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove vada quest’immensa corrente dell’attività umana, non si domanda al certo come ci va. Solo l’osservatore, travolto anch’esso dalla fiumana, guardandosi intorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sovravvegnenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch’essi, avidi anch’essi d’arrivare, e che saranno sorpassati domani».
(G. Verga, I Malavoglia)

Volutamente non ho iniziato con una citazione “cattolica”. Non serve. Bastava a Verga allora, basta a noi, ora, guardare intorno per capire che è vero: il “progresso” è esattamente questa fiumana che lascia sulle sponde i più deboli.
L’autore catanese aveva scelto i “vinti” come protagonisti dei suoi romanzi. Ma quella è letteratura. Ora dei “vinti”, quelli veri, non si occupa nessuno: non fanno audience.
E’ un mondo per vincitori, questo. E’ il mondo di chi scende in piazza, di chi grida di più, e chi è senza voce (… è così ovvio…) non ha diritto di parola. Non ha diritto di niente.
E’, questo, un mondo per uomini e donne sbracatamente liberi. Liberi di vedere esaudito all’istante ogni desiderio. Allergici ai doveri e ubriachi di diritti. Liberi da legami stabili con Dio e con gli uomini. Liberi e precari. Liberi e stolti, perché si credono padroni di una vita che non si sono dati e non possono protrarre nemmeno di un secondo. E non c’è patto col diavolo che tenga.
Lo sanno. E allora, presi da delirio di onnipotenza, vogliono ergersi a padroni e giudici della vita altrui. Stabilire loro chi è degno e chi non è degno di occupare spazio nel mondo.
Già. Il pianeta soffre e la colpa è dell’uomo. Soffre a causa della sovrappopolazione, dicono i saggi. Entro il 2050, avvertono, dovremo diventare tutti vegetariani, perché non ci sono risorse per tutti. E allora il ragionamento non fa una piega, se finalmente si dà il la all’aborto selettivo, se le diagnosi preimpianto sopprimono embrioni difettosi. Che almeno chi nasce sia sano. Se restano i migliori, meno bocche da sfamare, meno soldi sprecati per la ricerca e la cura delle malattie. Contenti i genitori che quando e come vogliono hanno il loro bambino su misura. Sposati o single fa lo stesso. Una mamma o due mamme fa lo stesso. Un papà o due papà fa lo stesso.
Oggi la Bonino ha ripetuto che nel paese retrogrado in cui siamo è ora di sdoganare anche la fecondazione eterologa. E basta con i viaggi all’estero! Viva i paesi-giungla (ma civilissimi!) dove bioetica è una parola sconosciuta. Lì, per soddisfare il desiderio egoistico di diventare madre quando le salta il ghiribizzo (… per carità, l’adozione no… chissà quello di chi è figlio!?…), una donna paga. E pazienza se mette a repentaglio la salute e la vita di un’altra donna. Paga. E con i soldi compra l’ovulo di una sconosciuta, lo sperma di uno sconosciuto e magari, al bisogno, affitta un utero. Però mi raccomando: fate la diagnosi pre-impianto, perché se è malato non lo voglio. Guardi: meglio se lei che mi dà l’ovulo è colta e pure carina; se lui che c’ha messo lo sperma è ricco e laureato. Scusi, me la fa dare un’occhiata al catalogo? Come? Sono due? I patti non erano mica questi! Uno, le avevo detto. U-N-O! Sopprima quello, tengo questo.
“Questo” cosa? “Questo” chi?
Eccolo, il punto. Sì, è proprio un “punto”. Ma non è una “cosa”, quel “punto”. Quel “punto” è un “chi”. Perché ogni piccolo d’uomo è indiscutibilmente un uomo piccolo. O una donna.
Da quel “punto” lì non si svilupperà una scimmia. Neanche un beagle.
Eccoli i “vinti”. I “vinti” veri. Sono i cuccioli d’uomo. Valgono meno di un beagle. Meno di niente.
Questo ha scritto oggi Stefano Rodotà su Repubblica: «Il disumano conflitto intorno ai “valori non negoziabili” dovrebbe cedere il posto a una attitudine capace di riconoscere che ci sono materie nelle quali l’intervento del legislatore è in primo luogo rispettoso della libertà delle persone e della loro dignità… Quando si parla del rispetto della vita privata e familiare, si vuol dire che in materia come questa la competenza a decidere spetta alle persone interessate».
Le «persone interessate» sono i genitori, ma è - sì o no? - anche il figlio (sarà anche il terzo “incomodo”, ma per quale altro motivo, scusate, è scoppiato il putiferio a Strasburgo, e su tutti i media!?). E la «dignità» è «dignità» a prescindere dalle condizioni, dalla grandezza e dallo status, perché è della dignità dell’essere umano ciò di cui stiamo parlando (per quale altro motivo, scusate, è scoppiato il putiferio su tutti i media!?)
Mentre scrivo cose che mi paiono così scontate da vergognarmi a metterle nero su bianco, penso che è triste constatare come anche tanti cattolici “adulti”, così attenti al Welfare, così spesso sotto le telecamere dei dibattiti in prima serata, proprio come Rodotà chiedono di smetterla con la “storia” (?) dei «valori non negoziabili». O glissano.
Cristo ci ha insegnato a prestare attenzione agli “ultimi” e loro han deciso che ci si può accontentare dei penultimi: i poveri, i disoccupati, gli anziani, gli immigrati, i malati, gli emarginati… I penultimi. Più politically correct. Sbattendoli come priorità sui programmi, siccome i penultimi son maggiorenni si acchiappano voti. E poi è più facile fare alleanze: grandi piccole medie coalizioni.
Spiacenti. I veri “ultimi” sono i senza voce. Non votano ma vengono prima.
Quel puntino lì eravamo noi nel grembo di nostra madre; erano i politici che son chiamati ad occuparsi del bene comune. Erano gli anziani che ora accudiamo, gli immigrati che accogliamo, i malati e i portatori di handicap di cui ci prendiamo cura e che cerchiamo di tutelare, vivi.
Chi ha davvero a cuore l’uomo deve ripartire da lì, da quel puntino.
E’ il seme, la sorgente della vita, la speranza per il futuro…

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