“Occorre soltanto osare il salto”
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Ha detto bene, Papa Benedetto XVI, il 22 dicembre scorso, quando ha porto gli auguri natalizi ai cardinali, alla curia romana, alla famiglia pontificia. “Occorre soltanto osare il salto”.
L’ha spiegato con chiarezza, il Santo Padre, come è possibile “osare il salto”: dove si trovano le forze, Chi dona il coraggio. Ma ancora prima di riportare le sue parole, racconto un episodio concreto, riferitomi da un amico.
Passeggiata impegnativa in montagna. Arrivati in cresta, c’è un crepaccio e tocca saltare. Sotto, il vuoto che fa accapponare la pelle. Per prima, senza tentennamenti, è la guida a superare la larga frattura della roccia. Dietro di lui ci sono due ragazzi. Il primo fa un bel respiro, poi salta. Il secondo tentenna: guarda, a mente prende le misure, prova, ma proprio non ce la fa. Sbottano gli altri, dietro; si spazientiscono. Sta bloccando tutti. Allora lo incoraggiano. Niente. Pensano di indicargli l’altro giovane: l’amico, il coetaneo. Fai come lui, gli dicono: un bel respiro e… via. “Per lui è facile”, è stata la risposta. “Quello davanti è suo padre!”.
E’ vero: è necessario questo, per trovare il coraggio, nella vita, di fare, quando occorre, il salto. Avere un padre che ci precede di qualche passo, una guida affidabile. Solo così si osa.
E’ accaduto anche a noi, tra la notte di Natale ed oggi, nell’impegno profuso per sostenere l’iniziativa di CulturaCattolica.it “
L’esito, inaspettato, è stato sperimentare la bellezza di quello che il Papa ha definito “un nuovo modo di vivere l’essere uomini, l’essere cristiani”.
L’occasione certamente è diversa, ma merita riportare le parole pronunciate da Benedetto XVI il 22 dicembre, quando ha ricordato l’incontro con i volontari della Giornata Mondiale della Gioventù, perché possono essere d’aiuto per comprendere il senso di questi giorni e del nostro agire: “Con il proprio tempo l’uomo dona sempre una parte della propria vita. Alla fine, questi giovani erano visibilmente e ‘tangibilmente’ colmi di una grande sensazione di felicità: il loro tempo donato aveva un senso; proprio nel donare il loro tempo e la loro forza lavorativa avevano trovato il tempo, la vita”. “E allora per me è diventata evidente una cosa fondamentale”, ha aggiunto il Papa. “Questi giovani avevano offerto nella fede un pezzo di vita, non perché questo era stato comandato e non perché con questo ci si guadagna il cielo; neppure perché così si sfugge al pericolo dell’inferno. Non l’avevano fatto perché volevano essere perfetti”.
Da dove è nato, allora, il desiderio di “muoverci”, di dare testimonianza, che concretamente ha voluto dire, a Natale, a S. Stefano, telefonare agli amici, inviare mail, sms che dessero ragione del nostro impegno, della nostra iniziativa? “Dov’è”, si è chiesto Papa Benedetto, “la luce che possa illuminare la nostra conoscenza non soltanto di idee generali, ma di imperativi concreti? Dove è la forza che solleva in alto la nostra volontà? Sono domande alle quali il nostro annuncio del Vangelo, la nuova evangelizzazione, deve rispondere, affinché il messaggio diventi avvenimento, l’annuncio diventi vita”.
E allora, perché “il messaggio diventi avvenimento, l’annuncio diventi vita” uno si guarda intorno. “Chi voglio essere?”, si chiede. “Cosa desidero, davvero, per la mia vita? Cosa posso fare?”
E’ ancora una volta il S. Padre a suggerire la risposta. “Certamente occorre fare tante cose. Ma il fare da solo non risolve il problema. Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci”.
Non è stato, dunque, il desiderio di “fare”, di raccogliere più firme possibili, ciò che ha mosso i nostri passi, in questi giorni, ma, sulla scorta, anche, delle parole del Papa, è stato lo sguardo e il cuore fissi ad un volto, ad una storia, alla testimonianza di Shahbaz Bhatti, che, come la guida alpina, dice ora a me, a te, a ciascuno di noi: “Osa! Seguimi! Salta! Salta anche tu! Testimonia come puoi chi sei e ‘di Chi’ sei, là dove le circostanze ti invitano ad agire.” Questo, noi di CulturaCattolica.it abbiamo cercato di fare. Questo faremo.
Benedetto XVI, nel discorso del 22 dicembre, ad un certo punto ha ricordato cosa di più l’ha colpito dell’incontro con le popolazioni africane, ma per l’uomo che abbiamo voluto indicare come “maestro” per la nostra vita: il martire pachistano Shahbaz Bhatti, come per tutti i grandi testimoni della fede che ci indicano il cammino, vale lo stesso.
Riferendosi all’Africa, il Santo Padre ha detto: “Lì non si percepiva alcun cenno di quella stanchezza della fede, tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile. Con tutti i problemi, tutte le sofferenze e pene (…) si sperimentava tuttavia sempre la gioia di essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interiore di conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa. Da questa gioia nascono anche le energie di servire Cristo nelle situazioni opprimenti di sofferenza umana, per mettersi a sua disposizione (…) Incontrare questa fede pronta al sacrificio, e proprio in ciò gioiosa, è una grande medicina contro la stanchezza dell’essere cristiani che sperimentiamo in Europa”.
Occorre questo, oggi, e ogni giorno da oggi: “occorre osare il salto”. Occorre la conversione del cuore, dello sguardo, della vita tutta. Occorre guardare a Shabhaz Bhatti, a quelli come lui, a chi ama Cristo più della sua vita. E non accontentarsi di niente che sia meno di questo.