“Te lo insegno io come si fa il Papa”
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Difficile capire chi-dice-cosa, perché il titolo lo redige Tizio, e l’articolo lo scrive Caio, che ha recensito Sempronio, ma nella società liquida che ben rappresenta Repubblica con i suoi allegati, pur sempre di acqua si tratta, e dunque i distinguo tra una goccia, e l’altra, e l’altra ancora, servono e anche no. Tanto più quando si ha a che fare con il “pensiero unico” che, sguainando quella che ritiene la meglio intelligencija (?) del Paese, difende a spada tratta il pensiero debole, purché sia sufficientemente forte per continuare ad essere quello indiscutibilmente imperante et capillarmente infiltrante.
Bene. Fatto il preambolo, this is the question. Su il Venerdì, supplemento settimanale di Repubblica, è uscito oggi un pezzo dal titolo: “Se Papa Benedetto parlasse di più agli uomini che a Dio…”. L’astuzia (?) del titolista, usando i tre puntini di sospensione, vorrebbe far continuare l’ipotetico lettore con uno scontato: “…chissà cosa mai succederebbe…” ed incuriosirlo, dunque, a proseguire acriticamente il pezzo. Peccato che il titolista si sia trovato – ahilui – di fronte, stamattina, un’insegnante di italiano con due pessime caratteristiche: puntigliosa e, vade retro, cattolica. Col cavolo, dunque, che una prof. di italiano puntigliosa e cattolica passa all’articolo, prima di essersi fermata a correggere il titolo!
O chi ha scritto il titolo non conosce le preposizioni (di, a, da, in, con, su, per, tra, fra) – ma allora è bene che cambi mestiere – o qualcuno gli deve spiegare che un Papa è normale che parli più a Dio (e magari Lo ascolti, anche) che agli uomini. Diciamo, quantomeno, che c’è un “prima” e un “dopo” e che senza il “prima”, il “dopo” perde di sostanza e di significato. E’ in seguito alla preghiera, infatti, e alla tenace richiesta di intercessione dello Spirito Santo che ogni Papa trova, da sempre, parole e modalità per rivolgersi ai fedeli.
Come dimenticare le innumerevoli volte in cui, nei diversi viaggi apostolici compiuti da Giovanni Paolo II, ad un tratto e nei momenti cruciali: prima di incontrare i “grandi” del mondo, o le folle, il Papa “scompariva” e lo ritrovavano in una cappella, o in un angolo (ma è capitato anche in uno sgabuzzino!) in ginocchio a pregare, o a recitare il Rosario…
Avesse, il titolista, scritto “Se Papa Benedetto parlasse di più degli uomini che di Dio…” anche un’insegnante di italiano puntigliosa e cattolica avrebbe potuto sorvolare e proseguire – seppur un po’ perplessa – la lettura, ma così proprio no. Impossibile. Segno rosso con accanto una nota. Ripassare le preposizioni semplici e articolate e studiare i fondamenti della dottrina cattolica. Almeno l’A-B-C: chi è il Papa, in nome di Chi parla quando parla e di Chi agisce quando agisce. Eh, sì. Perché se non si relaziona frequentemente con Colui che rappresenta, lo capirebbe anche un bambino che direbbe solo la sua opinione, magari dotta, su questo o su quello.
Spiacenti. Compito del Papa non è esprimere opinioni, e nemmeno chiedere consiglio agli uomini (quelli di Repubblica, magari, che in fatto di questioni di fede e di Chiesa cercano di spacciarsi come espertissimi…).
A questo punto, l’insegnante di italiano puntigliosa e cattolica scavalca i puntini e continua la lettura e così scopre di essere di fronte alla recensione del saggio di Marco Politi: “Joseph Ratzinger – Crisi di un papato” a firma di un altro “esperto” di Chiesa, Corrado Augias.
“Crisi di un papato”?! Boh, pensa la puntigliosa, perché non le risulta affatto. Ma sorvola e prosegue, cercando di capire dove si voglia andare a parare.
Trattandosi di recensione, da qui in poi non si capisce se Augias interpreta e semplifica Politi o lo riassume quasi citandolo, fatto sta che nell’articolo si legge: “La tesi di fondo dell’autore è che la figura di Benedetto XVI è di grande fascino: un uomo complesso, colto, timido, non privo di humour nella vita privata e tuttavia inadatto a governare la Chiesa. Un uomo che non avrebbe dovuto essere eletto”.
Che Augias riassuma Politi o ripeta la sua filastrocca di sempre poco importa. “Alla faccia dell’umiltà!”, sbotta la cattolica puntigliosa (a questo punto la laurea può starsene nel cassetto, che tanto non serve, basta il buon senso).
Libero, chicchessia, di pensarla come crede, ma non è Repubblica un giorno sì e il giorno dopo anche a ripetere, insistentemente “diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”? Che gliel’abbia spiegato qualcuno, a questi qui, che esiste lo Spirito Santo e che non saranno il primo o l’ultimo Marco & Corrado, dalle colonne del Venerdì, a dire se lo Spirito Santo ha ispirato bene o male gli elettori di Ratzinger?
Augias e Politi non credono allo Spirito Santo? Liberissimi. Si occupassero allora d’altro, perché – è bene ricordarlo di nuovo – un Papa prega, e tanto. I Cardinali si ritirano in conclave e pregano – tanto – affinché lo Spirito scenda su di loro e li illumini.
Ma non è finita.
Continua Augias: “Scrive Politi che questo Papa dà l’impressione di non rendersi davvero conto di cosa voglia dire oggi vivere nel mondo (…) Il Papa evita di affrontare gli enormi problemi che lo fronteggiano, a cominciare da una visione più misericordiosa sui temi etici legati alla procreazione e alla morte, o sull’ampliamento del ruolo alle donne alle quali viene negato il sacerdozio, o sulle aperture verso il pluralismo religioso”.
Forse Politi e Augias anziché leggere integralmente i discorsi del Papa (che do invece per scontato conoscano i lettori di CulturaCattolica.it, per cui non li cito), leggono solo i riassunti che ne fa il Gruppo Editoriale Espresso, o magari i titoli, per far prima. (Tanto per dirne una: il 28 ottobre, su Repubblica, la sintesi dello straordinario intervento di Benedetto XVI ad Assisi è stata: “Mea culpa del Papa: mai più guerre di religione”. Chapeau! Se del discorso del Papa la cosa più importante per loro era questa, te credo che poi prendono lucciole per lanterne!...).
O forse Marco & Corrado leggono, ma quel che gli pare, perché Benedetto XVI parla, eccome se parla! E scrive, eccome se scrive!
O forse leggono, ma hanno la memoria corta.
O forse… Forse gradirebbero che Benedetto XVI, successore di Pietro (e non di Giovanni Paolo II, come erroneamente spesso si legge!) e rappresentante di Cristo in terra, dicesse… quel che vorrebbero sentirsi dire. Quel che fa loro comodo. O – Umberto Eco docet – magari, che ne so, sarebbero disposti ad organizzare pure loro un corso semestrale per insegnare al Papa a fare… il Papa. Come? Dicendogli che non serve pregare, non serve parlare a Dio e nemmeno ascoltarlo. Tempo perso. Niente Vangeli, niente Magistero, niente tradizione. Niente di niente.
Basta ripeta l’Eco (maiuscola o minuscola fa lo stesso) del mondo.