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Non si cambia la religione, ci si può solo convertire!

Fonte:
CulturaCattolica.it

La vicenda di Charlie Hebdo e l’orrendo e barbaro assassinio dei redattori da parte di un commando terrorista islamico, al di là del dolore e della esecrazione per quanto accaduto, chiede una seria riflessione. Abbiamo letto le tante note di solidarietà, e qualcuno ha anche giustamente espresso la propria perplessità rispetto all’azione «satirica» dei vignettisti. Un bel titolo di Intelligonews parla di «opposte inciviltà». Di questo mi pare si tratti. Assassinio è inciviltà, bestemmia e dileggio della fede, cristiana o islamica è lo stesso, e ricordo con disgusto la vignetta sulla Trinità sodomitica…
C’è una questione però che in questi tempi si fa urgente nel nostro rapporto con l’Islam.
E ritengo che sia la questione fondamentale. La riassumo riprendendo quanto accaduto in Egitto, recentemente, e leggendo un commento di un noto politologo italiano.

Recentemente il Presidente dell’Egitto, Al Sisi, si è fatto promotore di una rivoluzione religiosa. Il mondo musulmano non può più essere percepito come «fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione» per il resto dell’umanità. E le guide religiose dell’islam devono «uscire da loro stesse» e favorire una «Rivoluzione religiosa» per sradicare il fanatismo e rimpiazzarlo con una «visione più illuminata del mondo ». Se non lo faranno, si assumeranno «davanti a Dio» la responsabilità per aver portato la comunità islamica su cammini di rovina. Sergio Romano sul Corriere ha commentato: “I leader delle nazioni arabe hanno un evidente interesse a contrastare le gesta dello Stato Islamico, ma hanno taciuto, forse per non irritare gli ambienti più confessionali delle loro società. Al Sisi ha avuto il merito di violare questo tabù e di farlo di fronte a una platea di imam e ulema in una istituzione accademica che è stata definita in passato, anche se con una formula molto approssimativa, il Vaticano dell’Islam. Ancora più interessanti sono gli argomenti di cui Al Sisi si è servito per affrontare il problema: il fanatismo islamico sarebbe il risultato di un pensiero dominante che è divenuto, con il passare del tempo, un codice di regole inviolabili. Tocca agli imam e agli ulema smantellare questa costruzione, tocca a loro guidare una «rivoluzione religiosa».
Sembra di capire – conclude Sergio Romano - anche se non viene detto esplicitamente, che il presidente chieda ai custodi della fede di non più considerare le antiche scritture un testo immutabile, da leggere alla lettera, ma un testo storico da leggere con criteri moderni....”.

Ma come potrà essere accettato dal mondo mussulmano questo invito a «relativizzare» la propria fede? Se per l’islam il Corano è parola dettata da Allah, come potrà un uomo cambiarlo? È come se mi chiedessero di cambiare il Vangelo. Posso cambiare religione, non adeguare la rivelazione ai miei sentimenti. Certo, la strada è solo quella indicata da Papa Benedetto: il dialogo tra le culture, perché tra le religioni non è praticabile. Altrimenti si darà solo spazio al fondamentalismo Ci vuole quest’altra strada, che in termini cristiani si chiama testimonianza. Ed è l’unica speranza.

Di questi tempi in cui è diventato quasi un obbligo rifarsi a san Francesco d’Assisi, non possiamo dimenticare che lui è andato, durante la Crociata, dal Soldano annunciandogli Gesù Cristo e invitandolo alla fede. Oggi, se desideriamo imparare la lezione della storia, prima che sia troppo tardi, bisogna mettere mano a una autentica evangelizzazione, una testimonianza di fede e carità che mostri agli uomini del nostro tempo, ai tanti mussulmani che incontriamo, che Gesù è l’unico volto del Dio misericordioso.

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