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L’«et-et» cattolico, contro il fanatismo di chi non vuole capire

Fonte:
CulturaCattolica.it

«Il problema è che i fanatici finiscono per convertire alcuni princìpi in una battaglia permanente e discutono deliberatamente soltanto di questi temi». [Il teologo del Papa e l'uso strumentale dei principi non negoziabili]

Dobbiamo imparare la lezione di San Tommaso d’Aquino: il suo metodo era chiaro. Quando affrontava una quaestio, la sua prima preoccupazione era di chiarire i termini del problema, cercando di individuare con precisione le ragioni (explicatio terminorum). Altrimenti il suo sarebbe stato come un combattere contro i mulini a vento, attribuendo all’avversario posizioni scorrette e inesistenti. Non amava vincere a poco prezzo, ma nella ricerca della verità rispettare la posizione umana e culturale dell’interlocutore.
Poi ho letto quanto il Papa emerito Benedetto XVI ha affermato nella Lettera di presentazione del Motu proprio sulla Messa in latino: «Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: “La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!” (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio.»
Sembra che – e mi riferisco all’articolo di Vaticaninsider «Il teologo del Papa e l’uso strumentale dei principi non negoziabili» – si cerchi di squalificare la posizione che si vuole controbattere (il rimando ai principi non negoziabili) facendone una caricatura.
Ora mi pare che coloro che conosco e che si rifanno all’insegnamento tradizionale della Chiesa su tali principi, non siano «persone che sembrano non riuscire a sentirsi pienamente cristiani senza un nemico, senza concepirsi perennemente sulle barricate». Ho imparato e abbiamo imparato che «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» e che nella Chiesa, ricorda Papa Francesco, «i Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi nell’ambito del privato...».
Siamo fedeli della Chiesa cattolica, abbiamo imparato l’insegnamento della Dottrina sociale cristiana, siamo responsabili, nell’ambiente in cui viviamo, della presenza della fede, abbiamo capito già da tempo quanto il Papa Paolo VI diceva nella Octogesima adveniens «spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili dell’evangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della chiesa… Spetta alle comunità cristiane individuare, con l’assistenza dello Spirito Santo - in comunione coi vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà -, le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi».
Non stiamo sfigurando l’insegnamento dei Papi, siamo solo consapevoli della drammaticità della situazione che ci chiede da un lato una presenza e testimonianza di fede (per cui vogliamo raccontare la bellezza della vita come Gesù ce l’ha insegnata e che si vive nella esperienza affascinante della Chiesa, peccatrice, sì, ma soprattutto luogo di santità autentica) e dall’altro lato ci chiede di non restare inerti di fronte allo scempio dei giovani che il potere e lo stato e i padroni di quella orrenda «cultura dello scarto» ci impongono con una inesorabile e pervasiva insistenza.
Abbiamo imparato dalla nostra storia cattolica che non è l’«aut-aut» a caratterizzarci, ma l’«et-et» che sa riconoscere i frammenti di verità, le sfide del presente e la novità delle testimonianze.

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