Amore e riduzionismo darwiniano
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La parola d’ordine è riduzionismo. Ridurre l’uomo, la sua complessità, il suo mistero, a qualcosa di osservabile, controllabile, quantificabile. Dalla notte dei tempi l’uomo riflette sull’amore, su un’esperienza, quella dell’affetto, che ha evidentemente qualcosa di divino.
Leopardi, parlando del suo amore per Silvia, scriveva: “lingua mortal non dice /quel ch’io sentiva in seno”. Non c’è lingua umana che sappia descrivere la prodigiosa e immensa forza dell’amore, la sua essenza spirituale, e quindi ineffabile. Dante, nel Paradiso, definiva l’Empireo come il cielo che “solo amore e luce ha per confine”: anche lui per sottolineare come l’amore sia attributo eminente di Dio stesso.
Oggi sempre più spesso si tenta di spiegare che il mistero dell’amore è stato compreso, e che esso è semplicemente definibile come una esperienza corporea e null’altro. Il numero di “Geo” del maggio 2007, una di quelle riviste patinate che diffondono conoscenze (pseudo)“scientifiche” tra la gente, cerca di fare proprio questo: ridurre l’amore ad una serie di circuiti neurologici, ad un turbinio di ormoni, ad un fatto puramente e solamente materiale.
Dimentica della fondamentale unione esistente nell’uomo tra una natura animale ed una spirituale, tra corpo e anima, Valentina Murelli, nel servizio intitolato “E lo chiamano amore”, sostiene che “da un punto di vista psicologico (si badi bene l’aggettivo, ndr), l’amore non è altro che la soddisfazione di un desiderio, magari associato anche al raggiungimento di una certa stimolazione sensoriale. In gioco ci sono i concetti di piacere e gratificazione (quindi solo concetti egoistici, ndr), che sono coinvolti anche nei comportamenti in cui si manifesta dipendenza” da droghe. Infatti l’amore “è una faccenda di fisiologia e biochimica e proprio da un punto di vista chimico ha non pochi punti in comune con il fenomeno della dipendenza da droghe”!
Sostanzialmente, sempre secondo l’articolista, si possono “legare comportamenti così complessi come l’innamoramento e l’attaccamento reciproco a semplici sostanze chimiche”. La libertà viene così liquidata, esattamente come ai tempi del meccanicismo materialistico degli illuministi, e l’uomo ridotto ad un ingranaggio, in cui tutto, non solo la defecazione, ma anche l’amore, la fedeltà coniugale o meno, dipendono esclusivamente da fattori fisici, meccanici!
“Si può avere un forte attaccamento verso una persona, provare amore romantico nei confronti di un’altra ed essere nello stesso tempo attratti sessualmente verso una terza (o anche più d’una)”: sarebbero semplicemente meccanismi che si incrociano, in contemporanea! Noi infatti non decidiamo di chi innamorarci e come vivere la nostra esperienza d’amore: è la natura a farlo per noi, essendo noi uomini solo parti insignificanti e intercambiabili di un meccanismo più grande, che ha come scopo quello di mantenere se stesso e null’altro. Infatti “meccanismi collaudati nel corso di milioni di anni ci guidano in queste decisioni, all’unico scopo di garantire il nostro successo riproduttivo”. Riprodursi, infatti, è, darwinianamente, l’unico scopo di una creatura, l’uomo, che si crede dotata di un’anima e di un destino immortale, ma che è in realtà solo un animale come gli altri.
Ne consegue, evidentemente, che gli sterili, o coloro che hanno scelto la castità, sono meccanismi malati, fisicamente o mentalmente! “Geo” infatti, non potrebbe mai credere che una persona sterile possa comunque avere una dignità, ad di fuori del suo “compito riproduttivo”, né che vi sia la libertà, nell’uomo, di scegliere non solo la strada della procreazione, ma anche quella della consacrazione. Che è invece, come tante altre, una dimostrazioni evidente che l’uomo è dotato di libertà, e che l’amore non è soltanto, bensì solo in parte, qualcosa di fisico.
(da: Francesco Agnoli, “Dio questo sconosciuto”, Sugarco)