Scienza e mistero

Per una ragione amica del mistero
Autore:
Bersanelli, Marco
Fonte:
Tracce
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Come ha inizio la ricerca scientifica?

Che cosa è e come ha inizio quella attività umana che chiamiamo ricerca scientifica? All'origine, uno stupore per la realtà, razionale, che non si esaurisce in un sentimento estetico, ma provoca un desiderio di conoscenza.
La realtà fisica si presenta come un dato e la ragione umana è innanzitutto stupita, provocata, commossa dall'esserci delle cose. Se ci si trova davanti ad un cielo stellato in una bella serata estiva, quando lo spettacolo è davvero imponente, dopo qualche attimo a chiunque possono sorgere domande come: "Quante sono le stelle in cielo?", oppure: "Come sono fatte?", o: "Quanto sono distanti?". Però queste domande non esprimono la prima mossa della nostra ragione: esse derivano da un'altra impressione, più fondamentale. La prima vibrazione che la ragione accusa è lo stupore per la pura presenza delle cose ("Le stelle!").
La curiosità scientifica ha la sua specificità nel fatto che si rivolge alla componente misurabile della realtà. È evidente che l'aspetto misurabile è un aspetto parziale, selezionato del reale: vi è molto di più al mondo di ciò che si può dividere e misurare. Pertanto se la ragione è la facoltà che un uomo ha di rendersi conto del reale, essa non può esser ridotta alla capacità di produrre rapporti quantitativi tra misure o concetti. Siamo immersi in una mentalità che, più o meno esplicitamente, riduce la ragione alla sua capacità di misura, amputando gravemente la nostra possibilità di conoscere.
Vorrei mettere in luce il modo in cui la ragione è sollecitata e opera nell'esperienza scientifica, e notare come, anche all'interno di questa modalità particolare di affronto del reale, la ragione è indotta ad implicarsi ben oltre la sua capacità di quantificare e dedurre in termini analitici.
Qual è la caratteristica che la realtà fisica presenta nel momento in cui tentiamo di entrare in rapporto con essa dal punto di vista scientifico? Anzitutto io trovo che sia un fatto assolutamente sorprendente che la realtà si lasci conoscere, cioè che l'impresa scientifica sia possibile, che vi sia un ordine nella realtà con cui in qualche modo possiamo stabilire un rapporto. Ciò vuol dire che la nostra ragione è in grado di paragonarsi ad ogni realtà fisica (ad esempio un microbo, o l'universo di 15 miliardi di anni fa). D'altra parte la realtà fisica ci appare anche irraggiungibile nella sua consistenza ultima. In questo senso la ricerca scientifica mette in luce la natura della realtà come mistero: essa esiste, con essa si stabilisce un rapporto, ma ultimamente sfugge alla comprensione completa della ragione, perché vi è in essa sempre qualcosa che eccede ciò che la ragione possiede o può possedere. Questa è la condizione avvincente di chi si impegna nella ricerca, e nello stesso tempo umiliante, nel senso che ci rende umili di fronte al mistero della realtà la cui natura ultima è sempre esuberante rispetto ad ogni nostra capacità conoscitiva e creativa. I più grandi scienziati (molto più dei filosofi della scienza) hanno sempre avvertito in modo lucido e drammatico il senso del mistero. Ad esempio Albert Einstein disse: "La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero. Sta qui il seme di ogni arte e di ogni vera scienza".

Le caratteristiche di una indagine scientifica
È interessante notare che le caratteristiche di un'indagine scientifica, nel suo reale svolgersi, sono molto simili a quelle di un'avventura. Si conosce il punto di partenza (si parte dal lavoro che altri prima di noi hanno fatto) e non si conosce il percorso, se non per qualche passaggio. Come in ogni avventura si ha un'idea della meta, ma non si è affatto certi di poterla raggiungere. E alla fine la meta che si raggiunge non è necessariamente quella che si era immaginata, e vi si giunge per vie tortuose.
Dunque la ragione, protagonista dell'avventura, posta di fronte al mistero della realtà è chiamata a far uso di tutte le sue risorse per seguire la pista della verità attraverso tutti gli indizi disponibili. Per questo la parola più suggestiva per definire l'attività scientifica è la parola indagine: il solo uso delle capacità logiche della ragione non è sufficiente. L'indagine scientifica è simile ad un'arte: intuizione, gusto, immaginazione sono componenti essenziali per la possibilità della scoperta.
Concepire e realizzare un esperimento (o un'osservazione) ha la stessa dinamica della formulazione di una domanda: è come chiedere alla realtà che si ha dinanzi: "Come sei fatta?". L'arte della ricerca sperimentale consiste nel saper porre in modo appropriato la domanda. E l'avanzamento della ricerca coincide con la correzione continua di tale domanda finché la risposta appare evidente. La didattica dovrebbe mirare a formare una ragione capace di sentire e porre domande. Vorrei ancora notare che la definizione classica di metodo scientifico non tiene conto di un fattore che in qualche modo è sempre presente nello sviluppo di ogni ricerca: l'imprevisto. Non solo certe grandi scoperte, ma tutta la quotidianità dell'agire scientifico è imbevuta di imprevisti, errori, inconvenienti che si trasformano in fatti positivi. Non si tratta di un incitamento all'anarchia metodologica. Infatti solo se l'imprevisto accade nel contesto di un metodo rigorosamente applicato può essere riconosciuto, altrimenti è puro disordine. Come scrisse Charles Nicolle: "La casualità favorisce solo coloro che la sanno corteggiare". Ciò significa essere aperti alla realtà come a qualcosa che può dare una risposta inattesa. Lo scienziato affronta la realtà con un'ipotesi, ma è sempre pronto a modificarla, facendosi guidare dall'evidenza e non dal preconcetto.
Infine vorrei notare che la comunicazione del metodo scientifico (come di ogni metodo) non può avvenire per l'apprendimento di una serie di procedure, ma solo attraverso un certo tipo di rapporto umano: occorre la presenza di una personalità autorevole che già (o maggiormente) possiede il metodo e lo comunica affrontando il contenuto del problema, e occorre una ragione pronta a seguire e capace di immedesimarsi con chi segue.
Mi pare evidente dagli accenni fatti che una concezione che riduca la ragione a "misura di tutte le cose" non può adeguatamente spiegare il fenomeno della conoscenza scientifica. La definizione di ragione che meglio descrive il modo di procedere della ricerca, così come quotidianamente la vivo, è quella espressa da Luigi Giussani: "La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori". Infatti, come abbiamo visto, pur riguardando un aspetto assai particolare del reale, l'indagine scientifica in quanto dinamica di conoscenza necessariamente coinvolge la ragione secondo un'ampiezza ben più grande della pura capacità logico-deduttiva, e la implica secondo flessioni diverse e ugualmente decisive. Allora, per esempio, non si elimina dal livello razionale il fattore più tipicamente umano: quello che riguarda lo scopo.

I cinque stimoli che incitano l'uomo alla scienza…
San Bernardo scrisse:
«Vi sono cinque stimoli che possono incitare l'uomo alla scienza:
- Vi sono uomini che vogliono sapere per il solo gusto di sapere: è bassa curiosità.
- Altri cercano di conoscere per essere conosciuti: è pura vanità.
- Altri vogliono possedere la scienza per poterla rivendere e guadagnare denaro ed onori: il loro movente è meschino.
- Ma alcuni desiderano conoscere per edificare: e questo è carità;
- Altri per essere edificati: e questo è saggezza».
L'edificare e l'essere edificati sono quindi, secondo san Bernardo, gli scopi veri dell'agire scientifico. Tuttavia abbandonati a se stessi è inevitabile decadere in uno dei primi tre moventi.
È necessario un luogo, una compagnia umana che richiamino allo scopo vero di qualunque tentativo di conoscenza: le prime università sorsero proprio in questa prospettiva. Oggi occorre riconoscere e costruire ambiti in cui la persona sia richiamata allo scopo di ciò che fa e conosce.