Unità didattica sulla bioetica 3 – Norma oggettiva e coscienza soggettiva
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La norma morale universale e oggettiva: la Legge di Dio
La Bibbia aveva ragione. Vi è come una specie di legge, di struttura, scolpita nel cuore dell'uomo, che protegge gli sposi, la sessualità, la natura, il bene, il bello, il vero, ed è rilevabile, in varie forme, presso tutte le culture e le civiltà.
I dieci comandamenti, le dieci parole che ci giungono dal buio dei secoli (tre sull'amore per la Verità assoluta, Dio, e sette sull'amore reciproco), e cioè la famosa «regola d'oro», costituiscono perciò non solo una norma universale, a completamento di tutte le altre formulazioni, più riduttive, ma anche una norma oggettiva, perché la si trova già data, immanente in ogni individuo e in ogni cultura.
L'antropologia, la scienza e la filosofia confermano questo dato.
L'antropologia lo conferma con lo studio strutturale delle culture dei vari popoli. Secondo Claude Lévi-Strauss, non si trova società umana che non sia fondata su un principio comune, una norma valevole per tutti i membri del gruppo.
La scienza lo conferma con le scoperte della fisica indeterministica, che porta a riflettere come nessun essere umano, poiché non ci possiamo «vedere» fuori da noi stessi e dall'umanità in genere, avrebbe potuto inventare una regola che è a fondamento di tutte le relazioni umane. La scienza sa di avere dei limiti, e il principio di indeterminazione di Heisenberg ne mostra alcuni: l'uomo non può definire se stesso perché, facendo parte del sistema osservato, lo modifica con le sue osservazioni. La filosofia trae le conclusioni riflettendo su questi dati: l'uomo non è solo autocoscienza, ma anche esistenza (Husserl), e poiché non si può autodefinire perfettamente non può darsi da solo l'essere, la struttura e ordini morali intrinseci così perfetti e universali, e il bisogno di giustizia, di verità, di amore reciproco. Quindi la filosofia riconosce di non poter dire l'ultima parola sulle regole che dovrebbero guidare la condotta dell'uomo. Queste regole potrebbe darle solo chi potesse definire l'uomo, cioè un osservatore «fuori» dal sistema. Jean Paul Sartre (ateo) disse: «Una definizione dell'uomo potrebbe darla solo Dio, se esistesse”.
La regola d'oro non si può trasformare in terrorismo, cioè in una regola prodotta da uomini che ne schiavizzano altri, perché non è il prodotto di un progetto umano.
E poiché essa ci appare già data, come una struttura dell'umano già creata, la sua origine, per chi crede, è divina, mentre chi non crede deve oggi quantomeno ammettere che, come ogni struttura dell'universo, dai quark alle pulsar, essa è misteriosa.
I diritti umani
I diritti della «Dichiarazione del 1948» sono universali. Sono riconosciuti da tutti, e cioè dalle Nazioni Unite, dagli scienziati, dai filosofi, dai religiosi, dai giuristi, perché sono diritti fondati sulla ragione e sulla comune appartenenza umana.
I diritti universali sono come dei semafori: senza una regola comune la vita, come le strade, sarebbe una giungla dominata dal più forte. I diritti umani stabiliscono una regola morale valida per tutti: «Cerca la verità e rispetta l'altro come te stesso». I diritti sarebbero dunque la chiave universale per sapere come noi uomini dobbiamo comportarci per ottenere la pace, lo sviluppo sociale e personale in tutti i suoi aspetti?
Purtroppo non è così. I diritti umani da soli non bastano.
I diritti umani sono regole di gomma, pronte a cedere di fronte all’opportunismo.
Le regole morali non sono solo questione di testa e non bastano a realizzare il bene, perché ci vuole l’adesione del cuore, la tensione della volontà.
E tutto ciò non basta ancora. “Video meliora proboque, deteriora sequor”, diceva Orazio.
I diritti umani sono un criterio minimale, l’S.O.S. dell’umanità.
Se l’uomo non può definire se stesso, non può nemmeno dare a se stesso la legge ultima che lo porta alla pace e alla felicità.
La stella di Cristo: una norma morale oggettiva d’amore incondizionato
Gesù il Cristo, con il comandamento nuovo: “Amatevi come io vi ho amato” e con la sua presenza “fino alla fine del mondo”ha dato una libertà nuova, la libertà dei figli di Dio, con una vita, un progetto completamente nuovi. Con la possibilità di relazioni umane più ricche e vere, e con un senso della dignità e della libertà nuovo e grandioso.
Segno di questa nuova vita è per i credenti lo spirito di unità e, per i non credenti, quello di una ricerca sincera e onesta.
La norma morale soggettiva: la coscienza morale
Ciascuno di noi, in quanto «animale razionale», ha tra le varie facoltà della ragione quella di giudicare cos'è bene e cos'è male in ogni situazione, e di scegliere un criterio di giudizio.
Kant chiamava questa facoltà la ragion pratica, e dimostrava che in essa vi è un criterio fondamentale: «Agisci in modo che il principio che guida i tuoi comportamenti possa andar bene come principio guida per tutta l'umanità».
Ciò significa che qualsiasi cosa tu faccia, tu approvi che tutti facciano altrettanto.
Non puoi fare a meno di prendere posizione, perché hai una coscienza umana con
tutte le sue caratteristiche: hai il tuo io con la ragione che delibera, la fede per tutto quello che non puoi edificare, la tentazione di far finta di non vedere come stanno le cose, dei principi civili universali in base a cui giudicare (e se credi, hai lo Spirito Santo e la salvezza di Cristo), infine hai in testa anche le opinioni degli altri, quindi hai tutti gli strumenti per giudicare l'imputato, cioè le situazioni più ingarbugliate!
«Il retto pensiero - diceva 2500 anni fa il filosofo greco Eraclito - è la massima virtù, e la sapienza è dire e fare cose vere, ascoltando e seguendo l'intima natura delle cose».
I limiti della coscienza soggettiva
Ma siamo sicuri che ciò che la nostra coscienza giudica giusto, sia veramente giusto e corrisponda a come stanno in realtà le cose?
Che la coscienza sia l'unico giudice da ascoltare e che non ci siano norme oggettive si scontra con il dato di fatto: la nostra coscienza può essere erronea, cioè oggettivamente può emettere giudizi che non corrispondono alla realtà di fatto. L'esigenza di diventare coscienza vera, ossia di capire come stano veramente le cose, è un'esigenza comune a tutti, così come lo è il ricercare criteri universali e oggettivi che abbiano un maggior potere di previsione rispetto alla coscienza soggettiva.
La nostra libertà ha tre nemici: il mondo, la carne, il diavolo
La nostra coscienza ha tre killers: la «carne», il «mondo» e il «diavolo».
La «carne» degli antichi era il misto di impulsi fisici e cecità della coscienza che trascina l'uomo a comportamenti bestiali
Il «mondo» per gli antichi storici, e poi per il Vangelo, è l'insieme di tre grandi tentazioni: rinunziare alla coscienza vera per il potere, il piacere e il volere essere come un Dio. Spesso il nostro mondo stimola l'ipertrofia dell'intelligenza e l'oscuramento della coscienza morale.
«Il Diavolo - dice Lewis nelle sue famose Lettere di Berlicche - è colui che mentre stai pensando, come il famoso Amleto di Shakespeare, che forse ci sono più cose di quante la nostra fantasia possa immaginare, cose che non si vedono... ci suggerisce di andare a farci un panino con sano "buon senso"».
L'ignoranza è non sapere queste cose; il peccato è sapere che vi è una realtà e volerla ignorare. La vita umana ha una sua realtà e un suo significato intrinseco: conoscerli è diventare liberi, ignorarli volutamente è peccato.
(da Equipes MVA, “Uomo e donna per amare”, 3° vol., Libertà, etica e sessualità, Ed.LDC, pp. 5-18)