Fantascienza e terrorismo
"In senso generale, tutta la fantascienza prepara la gioventù a vivere e sopravvivere in un mondo di perenne mutamento, insegnando che il mondo cambia. Più in particolare, la fantascienza sottolinea il bisogno di libertà di pensiero, e l'ansia della conoscenza" (Robert A. Heinlein)- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
1. Segnali di disumanizzazione
In questi giorni, due orrori ci hanno riempito di raccapriccio e di sdegno: gli abusi nel carcere irakeno di Abu Ghraib, commessi da alcuni soldati dell'esercito americano, e la decapitazione di Nicholas Berg per mano del terrorista islamico Al Zarqawi. Alla nostra indignazione per l'umiliante riduzione dell'essere umano a manichino o ad animale da sgozzare, s'accompagna l'amarezza di constatare che, sulla stampa nazionale ed estera, i due episodi hanno avuto un diverso trattamento: molto spazio è stato concesso alle imprese (sic!) della soldatessa Lynndie England & C., poco invece alla decapitazione del povero Berg. In realtà, il secondo episodio è più grave del primo, in quanto rivela, come scrive Ernesto Galli della Loggia sul "Corriere della Sera" del 17/5/2004, "la radicale ostilità", "l'odio ideologico", che certo mondo islamico nutre per l'Occidente. Tuttavia, ci sembra che i due fatti, pur nella loro diversità, possano avere, tra le altre plausibili, una chiave di lettura comune:il disagio di fronte alla civiltà scientifico-tecnologica.
La nascita di quest'ultima coincide grosso modo con la rivoluzione scientifica galileiana e fu un avvenimento del tutto traumatico, uno shock culturale, tanto che gli studiosi parlano di mutazione storica, di svolta antropologica, ecc. Nell'epoca pre-scientifica, l'uomo infatti, che, per l'interpretazione dei fenomeni naturali, si serviva della conoscenza sensibile o ordinaria, aveva una concezione culturale unitaria, tutto gli sembrava ovvio e immutabile e nel mondo che lo circondava si sentiva come a casa propria. Ma con Galileo si ebbe una rottura brusca con il passato. L'uomo capì che l'interpretazione dell'universo non poteva più essere affidata all'istinto e all'immaginazione, ma ad una ricerca continua di tipo teoretico astratto.
La conseguenza fu il generale disorientamento, l'impressione che tutto stesse per precipitare, che non restasse certezza alcuna. Di tale situazione è rimasta un'eco nei versi di un poeta del XVI sec., John Donne: "… la nuova filosofia pone tutto in dubbio - e allorché gli uomini cercano tanti nuovi mondi tra i pianeti e nel firmamento - confessano liberamente che questo mondo è finito - tutto è in pezzi, ogni coerenza se n'è andata - ogni giusto rapporto e relazione" (1).
A distanza di quattro secoli, tale disorientamento non si è certo attenuato, come dimostra il celebre saggio scritto alla fine del 1950 dallo scienziato e romanziere inglese Charles P. Snow, Le due culture, in cui si evidenzia la frattura insanabile tra il mondo delle "belles lettres" e quello delle leggi fisiche, tra il sapere umanistico e quello scientifico. Quanto tale contrapposizione sia drammatica e pericolosa per la civiltà occidentale, lo possiamo arguire dal seguente brano del famoso pamphlet: "I non-scienziati hanno una radicata impressione che gli scienziati siano animati da un ottimismo superficiale e non abbiano coscienza della condizione dell'uomo. D'altra parte, gli scienziati credono che i letterati siano totalmente privi di preveggenza e nutrano un particolare disinteresse per gli uomini loro fratelli; che in fondo siano anti-intellettuali e si preoccupino di restringere tanto l'arte quanto il pensiero al momento esistenziale" (2).
Nella fantascienza, il conflitto tra le due culture è presente nei romanzi appartenenti al filone del "dopobomba" o in quelli che trattano il tema dei mutanti. Per il primo caso, ricordiamo La città perduta (Vault of the Ages, 1952) di Poul Anderson, in cui, dopo un conflitto atomico che ha spazzato via la civiltà, la scienza è diventata sinonimo di maleficio ed è punito con la morte chi osa accostarsi ad essa; e I condannati di Messina (Exiled from Earth, 1971) di Ben Bova, dove un gruppo di scienziati, le cui ricerche sono giudicate pericolose per l'ordine sociale, viene esiliato nello spazio su un enorme satellite orbitale. Tra i romanzi che, nel topos del mutante adombrano il problema delle due culture, basterà citare I trasfigurati (Re-Birth, 1956) di John Wyndham, tragica vicenda in cui il fanatismo di una falsa e deviata religiosità commina persecuzioni, torture e roghi a chi malauguratamente è portatore di mutazioni genetiche e, soprattutto, è in possesso di facoltà telepatiche indotte dall'apocalisse nucleare.
Tuttavia, se al suo sorgere la scienza moderna produsse un vero e proprio shock culturale, oggi che le scoperte scientifiche sono diventate familiari all'uomo, non si dovrebbe dire che la situazione di disorientamento si sia attenuata o addirittura sia scomparsa? Sfortunatamente, come tutti sanno, la risposta a questa domanda è completamente negativa. Il motivo è ovvio. Più, infatti, la scienza continua ad espandersi, più la conoscenza ordinaria per la comprensione dell'universo rivela la sua inadeguatezza. Si è quindi largamente diffusa l'opinione che la scienza sia intrinsecamente nemica dell'umanesimo.
Il fenomeno dell'abbandono della religione da parte delle masse che va sotto il nome di secolarizzazione, sembra confermare tale opinione. Nella storia dell'umanità, non c'è stato mai alcun popolo che si sia professato ateo. Tutti hanno ammesso l'esistenza di Dio, anche se a volte lo hanno confuso, come i primitivi, con le forze della natura (jerofanie) o, come gli antichi greci e romani, gli hanno attribuito azioni e sentimenti umani (antropomorfismo). Purtroppo, con l'avvento della scienza, l'equilibrio culturale e politico del Medio Evo andò in frantumi. La scienza acquistò un'importanza così rapida e invadente, che l'uomo cominciò a respingere da sé (specialmente sotto l'influsso del positivismo e dello scientismo) tutte quelle forme di vita e di pensiero che sentiva in contrasto con la scienza, tra cui in primis la religione.
2. Scienza, umanesimo e religione
Bisogna però aggiungere che l'azione di compressione esercitata dalla scienza nei confronti della religione, non è qualcosa di preordinato. La scienza non è necessariamente nemica della metafisica, anzi, come afferma B. d'Espagnat, è "la fisica [che] rianima la metafisica". La responsabilità del divorzio tra scienza e religione ricade, in ultima analisi, sull'uomo. Questi rifiuta lo sforzo di un maggiore impegno etico che le mutate condizioni storico-culturali gli richiedono, e, stordito dal sogno di un'illimitata potenza che la scienza sembra prospettargli, è trascinato in un vortice travolgente, come in una reazione a catena, che "[…] spinge l'uomo a utilizzare la scienza per aumentare la sua potenza, a sua volta utilizzata per ottenere dalla scienza nuovi frutti. Si tratta di una specie di ebbrezza che oscura lo sguardo e lo distoglie da altri orizzonti. Ne consegue un'atrofia progressiva delle facoltà e della vita puramente interiore, tutti elementi costitutivi del clima indispensabile alla fede religiosa" (3).
L'inaridimento del senso religioso, da un lato, e la sfiducia verso la scienza, dall'altro, hanno gettato l'uomo moderno e, soprattutto, quello occidentale in una crisi culturale talmente grave che egli, come scrive il filosofo tedesco Max Scheler, "è diventato pienamente e completamente 'problematico' a se stesso; [né] sa più ciò che egli è essenzialmente, ma allo stesso tempo sa pure di non sapere" (4). Né sembra che attualmente la situazione sia migliorata se il cardinale Joseph Ratzinger, in un articolo dal significativo titolo Se l'Europa odia se stessa, apparso su "Avvenire" del 14.5.2004, può affermare: "C'è qui un odio di sé dell'Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l'Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro".
3. L'islam e la scienza
Se il vento della modernità ha provocato e provoca simili sconvolgimenti nel mondo occidentale, esso è stato un autentico terremoto per i popoli islamici. Essi erano un tempo cittadini di un potente e immenso impero: quello ottomano, e consideravano l'Occidente una landa di barbari, con cui era inutile e degradante intrattenere rapporti umani e commerciali. Scrive Bernard Lewis: "Per molti secoli il mondo islamico è stato all'avanguardia della civiltà umana e delle sue conquiste. Il termine stesso di Islam, fra i musulmani, era avvertito come sinonimo di civiltà: oltre i suoi confini c'erano solo barbari e infedeli" (5). Per gli ottomani, il loro modello culturale era superiore a quello di ogni altro popolo, soprattutto perché era perfetta la religione (l'Islam) che praticavano. Ma nel corso di cinque secoli, il barbaro Occidente surclassò il mondo islamico.
La molla che ha consentito un simile sorpasso è stata la scienza moderna, di cui Avicenna, Avempace, Averroè, al-Ghazali, ecc. avevano in pugno tutti gli elementi di sviluppo, ma non ottennero i risultati, che invece, in Occidente, ottennero Galileo & C. Probabilmente, furono decisivi i fattori di natura religiosa, come ipotizza Edward Grant: "Benché molti ecclesiastici, come sant'Agostino, proclamassero la superiorità della Chiesa sullo Stato, la Chiesa cristiana riconobbe e accettò la sua separazione dallo Stato consentendo, in tal modo, lo sviluppo di una filosofia naturale di orientamento laico. Nell'Islam medievale, invece, mancava un au-tentico governo laico, e Chiesa e Stato erano una cosa sola. [...] La scienza è un'attività essenzialmente laica. Là dove la religione è forte (come nel caso dell'Islam), è molto probabile che essa domini un'attività laica come la scienza, a meno che tale attività sia riconosciuta come autonoma, sia protetta da uno Stato laico, o sia vista con favore dalle autorità religiose [...] nell'Islam medievale non esisteva nessuna di queste tre condizioni" (6).
È chiaro che non fa piacere a nessuno perdere prestigio e potere, specialmente a certa élite islamica della risma di un Osama bin Laden, che sogna un impossibile ritorno alle glorie del passato, e da ciò la causa scatenante della lotta spietata e assassina che sta conducendo contro l'Occidente. Lo ha ben messo in rilievo, l'indomani della strage di Nassiriya, il giornalista Igor Man in un articolo dal significativo titolo Bin Laden vuole un conflitto di civiltà: "La strage annuncia una nuova guerra culturalmente manichea: la civiltà del Ramadan schiava del ricordo mitico dell'Andalusia vincente, contro la società del futuribile e del presente consumista. Solo che gli infedeli, tutti in mucchio: "brava gente" e no, sono nella camera dei bottoni e non sarà facile sloggiarli" (7).
4. Il ruolo della fantascienza
In conclusione, il vero confronto non è tra l'Occidente e l'Islam, ma tra due modalità conoscitive: da una parte, quella inaugurata dalla scienza galileiana e, dall'altra, la conoscenza ordinaria o conoscenza comune. Per dirla con Koyré, si è passati dal mondo del pressappoco all'universo della precisione. Che fare? Pensiamo che anche per il mondo islamico sia valida la tesi delle due culture in conflitto (quella umanistica e quella scientifica) di snowniana memoria, e che occorra gettare un ponte tra di esse.
Ebbene, la fantascienza è in grado di superare tale dicotomia, come è dimostrato dalle trame di tanti romanzi, basate non soltanto sulle scienze naturali (fisica, astronomia, cosmologia, ecc.), ma anche sulle scienze umane (antropologia, etnologia, sociologia, linguistica, ecc.). Né si dovrebbe trascurare, secondo noi, l'influsso positivo che essa, per le sue potenzialità educative, potrebbe esercitare sui giovani, come ebbe ad affermare, nel corso di una conferenza tenuta nel 1957 all'Università di Chicago, il grande scrittore di fantascienza Robert A. Heinlein: "In senso generale, tutta la fantascienza prepara la gioventù a vivere e sopravvivere in un mondo di perenne mutamento, insegnando che il mondo cambia. Più in particolare, la fantascienza sottolinea il bisogno di libertà di pensiero, e l'ansia della conoscenza" (8).
Note
1) Cit. in A. KOYRÉ, Dal mondo chiuso all'universo infinito, Feltrinelli, Milano 19882, p. 30.
2) C.P. SNOW, Le due culture, Feltrinelli, Milano 19772, p. 7.
3) J-M AUBERT, Il giovane e la scienza, Edizioni Paoline, Catania, 1963, pp. 31-32.
4) Cit. in E. CANTORE S.J., La scienza e l'uomo: significato della crisi umanistica contemporanea, "La Civiltà Cattolica" n. 2984, 19.10.1974, p.112. Per ulteriori approfondimenti del pensiero di Cantore, rinviamo al suo ampio saggio L'uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, Ed. Dehoniane, Bologna 1988.
5) B. LEWIS, Il suicidio dell'Islam, Mondadori "Saggi", Milano 2002, p. 6.
6) E. GRANT, Le origini medievali della scienza moderna, Edizioni Mondolibri, Milano 2002, p. 273.
7) I. MAN, Bin Laden vuole un conflitto di civiltà, "La Stampa", 14.11.2003, p.9.
8) Cit. in G. CAIMMI-P. NICOLAZZINI, Le storie future, in "Robot" n.33, Armenia, Milano 1979, p.183.