Dodici, di Giovanni Donna d'Oldenico 2 - Un pazzesco e blasfemo esperimento
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Come sempre, questi sono solo i dati essenziali per cominciare, perché la storia ha subito un inizio vertiginoso: il Cancelliere Dodici, pedina fondamentale dell’Oligarchia al potere nella Repubblica, contribuisce alla rocambolesca evasione dal carcere di un Senatore ribelle, Leone Wilk, accusato di alto tradimento per essersi opposto alla “Mozione del Millennio”. L’inaspettata conversione di Dodici è frutto della rivelazione di un “orrore grande quanti altri mai” che Wilk, a sua volta ormai distante in modo irreversibile dal Potere, confida al suo vecchio amico.
Di qui si diparte un intreccio fittissimo di fughe, inseguimenti, dialoghi, colpi di scena, condotto con stile cinematografico e scansione millimetrica degli snodi narrativi, degna di un thriller di alto livello.
Fanno il loro ingresso nella storia la bella Edyta Wilk, figlia segreta del senatore Leone, e il suo fidanzato Zeb, entrambi spie dei Selvaggi dei Territori (una parte del pianeta corrispondente all’Europa, e separata dalla Repubblica – che coincide grossomodo con l’Asia – da una immensa e invalicabile Muraglia). Vi è stata alcuni secoli prima – siamo circa nel 2300 – una disastrosa guerra mondiale conclusasi con la Vittoria Definitiva della Repubblica e con l’isolamento e il ritorno al Medioevo dei Territori, nei quali è rifiorito il Cristianesimo, chiamato con disprezzo dal Potere “l’antica Leggenda”. Nella Repubblica vige invece la religione umanitaria della Grande Madre Terra, un apparato di riti naturalistici legati alle stagioni e a divinità arboree. Sembra di capire che l’intera America sia diventata uno smisurato Deserto, nelle cui viscere Laboratori e Impianti Nucleonici si dedicano a pazzeschi esperimenti, come la creazione sotto controllo di due buchi neri gemelli e distanti, e l’assemblaggio di un embrione umano a partire dalle particelle elementari, ad opera delle nanomacchine.
Qui si concentra la “hybris” del nuovo Potere: la creazione dell’uomo artificiale senza più utilizzare materiali biologici preesistenti (ovuli e spermatozoi), quasi una sfida al Creatore. E qui si insinua l’”orrore senza fine” del quale il Senatore Leone Wilk era venuto per caso a conoscenza in un giardino remoto: nella “Mozione del Millennio” (la delibera con cui si dava il via all’abolizione dell’uomo) si era infiltrato (addirittura pilotandola dall’inizio attraverso compiacenti pedine del Potere), lo stesso Nemico supremo, Satana in persona, per utilizzare questo primo uomo artificiale come propria blasfema incarnazione, l’Anticristo.
Mentre ribelli e spie, che capiscono di ritrovarsi drammaticamente di fronte alla possibilità della fine del mondo, cercano di bloccare questa orribile trama, i buchi neri artificiali cominciano a diventare instabili e minacciosi. Quest’ultima segretissima notizia atterrisce le Unità al potere; esse pensano di coinvolgere nella soluzione del problema uno scienziato “eretico” in esilio, Hector Lamialis, che però non fa che confermare il proprio precedente tragico giudizio, proclamato contro tutta la scienza “ufficiale”: non c’è scampo per l’umanità e per l’intero universo. E’ la fine di tutto. Mentre Edyta e Zeb celebrano le loro nozze, i buchi neri usciti dai propri “sicurissimi” involucri inghiottono in una voragine di nulla tutto il creato.
Questo sintetico riassunto non dà conto della grande complessità, ricchezza e varietà della vicenda, cui le etichette “romanzo fantateologico” o “fantasy apocalittico” stanno davvero strette. Certo risuonano in “Dodici” gli echi di G. Orwell, di C. S. Lewis, di J. R. R. Tolkien, di R. Benson, di M. O’Brien, ma Donna D’Oldenico sa riplasmare molte tematiche fantascientifiche, distopiche ed apocalittiche in una creazione originale . Questa sembra essere la sua sfida: niente dualismi tra sacro e profano. Esiste una sola storia, la Storia Sacra: quella che parte dalla Creazione e finisce con la Parusia, cioè col ritorno di Cristo e il Giudizio finale. Ne fanno parte tutte le umane avventure, la scienza e il “progresso”. Niente avviene per caso, tutto è Grazia e Provvidenza. Il romanzo si svolge tra la frase d’apertura: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, che nelle intenzioni del Potere assume una connotazione blasfema e satanica; e quella di chiusura: “Ecce homo”, ecco l’uomo, come può dirlo solo il Creatore, Colui che ha fatto l’uomo e sa che cosa c’è nel suo cuore.
In filigrana, soprattutto nei dialoghi tra i protagonisti (che assumono spesso le caratteristiche di una vera “conversatio in coelis”, ossia di un ragionare della vita e del suo significato senza nulla censurare), sono evidenti citazioni bibliche, liturgiche, quasi sempre pertinenti e non formali o devozionali, ma robustamente congiunte con l’esperienza e la condizione umana.
Si tratta quindi di una avventurosa e coinvolgente “meditazione sui Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso”, secondo quanto proposto da Papa Benedetto XVI, che nell’enciclica del 2007 Spe salvi lamentava che nella Chiesa non si parlasse abbastanza della fine del mondo, “perché la prospettiva della fine della storia e del Giudizio Universale, dove i sacrifici dei buoni e la malizia dei malvagi emergeranno agli occhi di tutti e saranno definitivamente giudicati, illumina l’intera storia umana”. (Massimo Introvigne, La bussola, 5.1.12)