L'esigenza di una rivelazione - "La voce del sonar..." 2 - Tra Montale e Milosz
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Secondo lo stesso Farmer, “‘Sonar’ esemplifica una delle mie prime convinzioni e delle mie prime passioni: cioè, che puoi trovare la Verità solo in te stesso e tuttavia, paradossalmente, puoi trovarla anche al di fuori. Vi sono codici cifrati tutt’intorno a noi e dentro di noi: codici che, una volta decifrati, rivelerebbero Tutto. Forse ci vuole un matto per decifrarli. Ed è giusto che sia così”.
Il primo tema è quindi quello dei segni da riconoscere, da interpretare attorno a noi. Potrebbero essere un inganno o un vaniloquio, come afferma questa poesia di Montale:
“Sulla rena bagnata appaiono ideogrammi
A zampa di gallina. Guardo addietro
Ma non vedo rifugi o asili di volatili.
Sarà passata un’anatra stanca, forse azzoppata.
Non saprei decrittare quel linguaggio
Se anche fossi cinese. Basterà un soffio
Di vento a scancellarlo. Non è vero
Che la Natura sia muta. Parla a vanvera
E la sola speranza è che non si occupi
Troppo di noi.” (E. Montale, Dopopioggia)
Si tratta invece, per Farmer, di una specie di esigenza di Rivelazione, che è però dettata dal senso religioso pre-cristiano: Vi sono codici cifrati tutt’intorno a noi e dentro di noi: codici che, una volta decifrati, rivelerebbero Tutto.
Perché Dio si è già rivelato, anzi ha condiviso la vita dell’uomo fino a diventare uomo Egli stesso. Allora non serve più decrittare dei geroglifici misteriosi per scoprire il significato di Tutto:
“Se Dio avesse manifestato nella storia umana una sua volontà
particolare, avesse tracciato una sua strada per raggiungerlo, il problema
centrale del fenomeno religioso non sarebbe più il tentativo, che pure
esprime la più grande dignità dell’uomo, di “fingersi” il dio: il problema
starebbe tutto nel gesto puro della libertà che accetti o rifiuti. Questo
è il capovolgimento. Non è più centrale lo sforzo di una intelligenza
e di una volontà costruttiva, di una faticata fantasia, (grassetto nostro, n.d.r.),di un complicato moralismo: ma la semplicità di un riconoscimento; un atteggiamento
analogo a chi, vedendo arrivare un amico, lo individua tra gli altri e lo
saluta. La metodologia religiosa perderebbe in questa ipotesi tutti i suoi
connotati inquietanti di rimando enigmatico a una lontananza, e coinciderebbe
con la dinamica di un’esperienza, l’esperienza di un presente,
l’esperienza di un incontro. È da notare come il primo metodo favorisce
l’intelligente, il colto, il fortunato, il potente; nel secondo metodo viene
favorito il povero, l’uomo comune”. (L. Giussani, All’origine della pretesa cristiana, pp. 35-36)
Si tratta di riconoscere una Presenza, come recita questa bellissima poesia del poeta polacco Czeslaw Milosz
Veni Creator
Vieni, Spirito Santo,
curvando (oppure non curvando) l’erba,
apparendo (oppure no) sul capo come lingua di fiamma,
al tempo delle fienagioni, o quando va il trattore per solchi
nella valle dei boschi di noci, o quando la neve rovescia
abeti mutilati nella Sierra Nevada.
Sono soltanto un uomo - ho dunque bisogno di visibili segni,
mi stanco presto costruendo scale di astrazioni.
Pregavo talvolta (Tu lo sai) che in chiesa una statua
sollevasse per me la mano - una, un’unica volta.
Ma lo capisco, i segni possono essere solamente umani.
Desta allora un uomo, in un posto qualunque della terra,
(non me: almeno so cos’è il decoro)
e permetti che - guardandolo - io Ti possa ammirare.
(da Miasto bez imienia, La città senza nome, trad. di Valeria Rossella)
Philip José Farmer ha vissuto purtroppo nella propria infanzia un’esperienza religiosa puritana e rigorista che gli ha impedito di cogliere il volto liberante e gioioso del Mistero. Ma la ferita gli è rimasta dentro, come esigenza di vedere con chiarezza il significato di Tutto.
Illustrazione di Chiara Ciceri