L’esigenza di una rivelazione – "La voce del sonar nella mia appendice vermiforme", di Ph. J. Farmer 1 - La storia

Fonte:
CulturaCattolica.it
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L’esistenza dell’appendice umana, come quella delle zanzare, costituisce dai tempi più remoti uno dei piccoli misteri irrisolti della scienza. Nel 2008 William Parker, docente di chirurgia alla Duke University del North Carolina, ipotizzò – tra la perplessità dei suoi colleghi - che l’appendice avesse come funzione quella di costituire una riserva di batteri “buoni” , utili nel caso di infezioni intestinali.
Philip Josè Farmer (1918-2009), scrittore di SF tra i più acclamati, prende spunto dal caso dell’appendice per scrivere uno stralunato, quasi demenziale racconto: “La voce del sonar nella mia appendice vermiforme” (1971).
L’Autore, definito da alcuni critici “the trickster”, ossia “il burlone” dissacrante e fuori dagli schemi, nell’Introduzione al testo avvalora l’ipotesi di una storia “assurda e tuttavia significativa” quando paragona il proprio racconto ai film dei fratelli Marx.
“Il nostro personaggio di oggi è Mr. Barnes, il più famoso paziente del ventunesimo secolo… finora. Egli è l’unica persona al mondo che possieda ancora geni responsabili della crescita di un’appendice. Come sapete, il controllo genetico ha eliminato l’appendice, inutile e spesso pericolosamente infiammata, dall’intera popolazione umana ormai da cinquant’anni. Ma per una trascuratezza puramente meccanica…”
Barnes descrive se stesso come un’antenna televisiva: capta risonanze negate ai comuni mortali, ha fenomeni di telecinesi, vede lampi bianchi; ora è ricoverato in una clinica perché riceve suoni e voci confuse dalla propria appendice, che però è in necrosi e deve essere asportata.
Si affollano presso di lui specialisti ed esperti di semiotica e di linguistica, che cercano di scoprire l’origine e il significato degli strani messaggi che Barnes dice di avvertire.
Persino un piccolo sonar miniaturizzato a bordo di un microscopico sommergibile (come nel romanzo “Viaggio allucinante” di I. Asimov) viene inserito nel suo corpo e comincia a trasmettere immagini e voci.
Barnes stesso descrive le proprie sensazioni come una serie di geroglifici istoriati sulla parete della propria appendice, che una acuta voce di donna traduce in un canto modulato. Dopo lunghe e pazienti indagini, i linguisti lanciano un grido di trionfo: come Champollion per la scrittura degli Egizi, hanno svelato il segreto delle iscrizioni…
Vediamo. QUESTO E’ IL SEGRETO DELL’…UNIVERSO? DEL COSMO? DEL GRANDE GENERATORE? QUESTA E’ LA PAROLA CHE SPIEGA TUTTO. LEGGI, O LETTORE, PICCOLO UOMO, QUESTA E’ LA PAROLA…”
“Avanti, non abbia paura! La dica, quella parola!...”
“Non c’è altro! – ribattè Barnes con un gemito – C’è solo una lacuna, una crepa…una corruzione. La parola è scomparsa. L’ha divorata l’infezione
!”
Così si procede all’Ultima Appendicectomia della storia. I risultati degli esami istologici non rivelano particolari segni, o iscrizioni misteriose. Ma Barnes non si rassegna:
Portavo dentro il segreto dell’universo. O almeno la chiave. Tutta la conoscenza era dentro di me: c’è stata per tutta la mia vita. Se avessimo agito un giorno prima, avremmo saputo Tutto”.
Uno dei dottori grida: “Non avremmo dovuto eliminare l’appendice dal corpo umano! Dio stava cercando di dirci qualcosa!”
Ma l’altro medico lo riprende: voci, suoni…si è trattato di una coincidenza improbabile ma non impossibile, Barnes era solo malato e non c’era alcun messaggio da scoprire. E invita tutti ad usare “il rasoio di Occam”: a tagliare le spiegazioni complesse finché resti quella più semplice.
Questa citazione colta di un filosofo medievale (Guglielmo di Occam; pertinente al racconto, anche se non è questa la sede per aprire un discorso approfondito su questo personaggio) ci schiude un nuovo orizzonte: la storia pur essendo grottesca e stravagante ha in sé dei richiami tutt’altro che banali.