Robert Hugh Benson - La vita - La scoperta dell’Incarnazione
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Ripercorrere l’itinerario di conversione di Robert Hugh Benson (1871-1914), cattolico proveniente dall’anglicanesimo, quarto figlio dell’arcivescovo anglicano di Canterbury, è come entrare nella ragionevolezza del Cattolicesimo, nella sua straordinaria (divina) corrispondenza alle esigenze del cuore umano. Benson stesso ha raccontato la propria storia in una autobiografia (Confessioni di un convertito, Gribaudi, Milano 1996), che Pigi Colognesi ha ripreso e approfondito in un magistrale articolo su “Il Domenicale” (n. 40 del 2 ottobre 2004). Non mancava alla formazione del giovane Robert la dimensione religiosa: educato per venticinque anni in una famiglia molto devota, ministro anglicano per nove anni, membro di una comunità di religiosi... “Mi sembrava di aver ricevuto una educazione religiosa molto colta”. Ma qual era il limite di questa formazione? Intellettualismo, formalismo, perbenismo, una concezione di Dio come un monarca astratto e lontano, “una vita oltremodo innocua”. Così Colognesi sintetizza l’insoddisfazione di Robert verso l’anglicanesimo: “Manca la presenza, qualcosa che tocchi veramente l’integralità della persona, il suo io profondo”.
Mentre i fugaci contatti del giovane Benson col Cattolicesimo gli fanno intuire una concretezza, una materialità appaganti: “Ricordo chiaramente una sensazione piacevole di gioia e di euforia quando sentii le gocce d’acqua santa sul mio viso provenienti dall’aspersorio”.
Commenta Colognesi: “Gocce d’acqua santa, la concretezza di un segno fisico dietro e dentro il quale sta la maestà del misterioso significato: nella scoperta di questa ineluttabile semplicità dell’incarnazione sta il senso del cammino di Benson dall’anglicanesimo al cattolicesimo”.
La decisione di Robert di farsi ordinare pastore anglicano nel 1901, se da un lato conferma un certo suo atteggiamento raffinato, colto, tranquillo e coscienzioso (“seguire la professione di mio padre sarebbe stato il modo più semplice per risolvere i problemi del mio futuro”), dall’altro approfondisce ancor più il suo disagio spirituale verso l’anglicanesimo.
Due erano le questioni che alimentavano questa insoddisfazione: il punto dell’autorità e quello della universalità. Lasciamo la parola a Colognesi: “Profondo fu lo sconcerto di Benson nel rendersi conto che su tematiche che egli riteneva decisive per la conduzione delle anime, la sua Chiesa non aveva un punto di vista univoco e, soprattutto, non aveva uno strumento autoritativo riconosciuto per dirimere la questione... Per Benson questo non poteva essere sufficiente: «Sentivo il bisogno di una Chiesa docente il cui compito era di preservare e interpretare la verità del cristianesimo per ogni nuova generazione. Solo una religione morta si può accontentare di un resoconto scritto; una religione vitale deve essere in grado di adattarsi alle situazioni che mutano senza perdere la propria identità». Comincia a farsi largo in lui l’idea che la “pretesa papista” non sia poi lontana dalla natura originaria del cristianesimo”.