Re Lear 9 - La grotta dei folli dove Lear impara l'umiltà

Lear ha visto la debolezza e scoperto la carità cristiana con lo schianto e la profondità di nessun altro personaggio tragico di ogni tempo.
Lear come Amleto, Otello, Macbeth: alla fine del dramma non sono gli stessi uomini del loro inizio: vengono trascinati e trasformati dallo svolgersi dell’azione scenica.
Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Lear insiste perché Kent e il buffone trovino riparo prima di lui.

Lear: La mia mente comincia a sconvolgersi. Vieni ragazzo. Come stai, figlio mio? Hai freddo? Anch'io ho freddo. Dov'è questo pagliaio, amico? L'arte della necessità è strana: essa rende preziose le cose vili. Andiamo alla vostra capanna. Mio povero pazzo! Povero ragazzo! Vi è una parte del mio cuore che soffre anche per te... Ti prego, entra tu; mettiti al riparo. Questa tempesta mi distoglie dal pensare a cose che mi farebbero maggior male. Ma entrerò (al Buffone) Su ragazzo, entra tu per primo. Oh miseria priva di tetto! Avanti dico! Io pregherò e poi dormirò (il Buffone entra) Poveri sciagurati, dovunque siate, che sopportate nudi la crudeltà di questo uragano spietato; in qual modo le vostre teste senza riparo, i vostri fianchi affamati, i vostri cenci tutti buchi e finestre potranno difendervi da un tempo simile? Oh io ho troppo poco pensato a questo! Sfarzo, ecco la tua medicina; soffri tu stesso quello che soffrono i miseri, impara a dividere con loro il tuo superfluo, così che meglio appaia la giustizia dei Cieli (pagg.73,76)

Nel baratro che si è spalancato dopo la sua cacciata dalle figlie, nell'abbandono di ogni orgoglio dispotico, di ogni tirannia cieca e paga di sé, nello spoglio di ogni cosa, il cuore non condanna il re alla disperazione, ma gli parla di una dipendenza: "Io pregherò" dice, nella aurorale intuizione di un nuovo sentimento: per la prima volta vede chi lo circonda e ha pena per la loro miseria "Io ho troppo poco pensato a questo! Esponiti a sentire ciò che sentono i poveri, per poterti scuotere di dosso il superfluo e darlo loro, rivelando Cieli più giusti" (pag.137)
Imparerà a pentirsi del proprio arrogante egoismo e a condividere con gli altri ciò che ha. Nadia Fusini così commenta questa pagina della tragedia:
"È la prima volta che un re cede il passo a un povero. È l'irruzione nella sua esistenza dell'illuminazione... Anche lui prova pietà per i derelitti, gli ignudi, gli indigenti. Impara l'umiltà il superbo Lear" (6).
Perde ogni bene e affetto ma ritrova se stesso e si colloca al di fuori della schiera dei dannati.
"Lear che è nato re - commenta la Fusini - diventa uomo” (7)

Ha visto la debolezza e scoperto la carità cristiana con lo schianto e la profondità di nessun altro personaggio tragico di ogni tempo.
Lear come Amleto, Otello, Macbeth: alla fine del dramma non sono gli stessi uomini del loro inizio: vengono trascinati e trasformati dallo svolgersi dell’azione scenica .
Dalla terra improvvisa si spalanca una fossa e appare una creatura spettrale ricoperta di stracci metà uomo e metà belva, ricoperto da una barba selvaggia e dai capelli arruffati. Cerca rifugio nella capanna poco lontana.
Quale sorpresa ancora prepara per noi Shakespeare. Un mostro? Una creatura degli inferi, un lebbroso? Un omicida in fuga? Lo spirito dei morti? Che pericolo rappresenta?
Il buffone si affaccia per primo alla capanna e fugge terrorizzato: ”C’è uno spirito qua dentro. Aiuto! aiuto!... Dice di chiamarsi “povero Tom”.
E’ il pazzo del paese, perseguitato “dalla cattiva stella-dice-dal maleficio, … dal diavolo maligno”. Sotto le sue spoglie si cela Edgar, il figlio di Gloucester, che fuggito e braccato non vuol farsi riconoscere e catturare: disconosciuto come figlio si aggira nelle lande deserte nudo, vuole abbrutirsi, fuggire la gente, cancellare la propria identità.
In una sarabanda tragicomica, al gruppetto rifugiatosi nella grotta si aggiunge ora anche Gloster che piange il figlio amato ignorandone la presenza sotto le spoglie del pazzo Tom.
Lear allucinato e fuori di mente farnetica e si rivolge allo straccione senza nome come a un dotto filosofo con cui disquisire: è il regno dei folli.

NOTE
6. Nadia Fusini, Di vita si muore, ed. Mondadori, pag.317.
7. Id ibid.