Re Lear 7 - Secondo atto: il ruolo del buffone
La figura del buffone svolge un ruolo fondamentale nella tragedia: uno dei pochissimi personaggi umani, che giudicano le cose dall'esterno, senza farsi irretire da logiche perverse. Spiritoso e intelligente, vede gli sconvolgimenti che investono il suo re e ha pietà di lui. Non teme punizioni per le verità che dice perché appunto egli è il buffone, il folle, e alla follia tutto è concesso.- Autore:
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Nel SECONDO ATTO si ritorna alla vicenda principale.
Come si era preannunciato, Goneril nel palazzo del marito, duca di Albany, non intende tollerare gli scervellati - come li definisce lei - comportamenti del padre che deve ospitare per prima, secondo gli accordi.
"Vecchio inutile che vorrebbe ancora sfoggiare una autorità di cui si è spogliato".
Rinunci dunque ai suoi privilegi e licenzi la scorta turbolenta e villana.
Inutilmente il marito Albany cerca di fermarla.
Due sole presenze vegliano sulla situazione umiliante del vecchio: il nobile Kent, uno dei personaggi più cari a Shakespeare, che sotto false spoglie si è ripresentato travestito come umile servitore, e il buffone compagno invocato da Lear.
E qui si apre un dialogo fra divertito e tragico per la sua impietosa veridicità, fra il re e il matto entrato in scena
Lear: Mi chiami matto, ragazzo?
Buffone: Tutti gli altri titoli li hai dati via... Quando tu spezzasti a mezzo la tua corona per darne una metà a destra e una a sinistra, ti sei portato l'asino sulle spalle in mezzo al fango. La tua testa faceva corona a poco cervello, quando desti via la corona d'oro.
Lear. Se menti ti farò frustare.
Buffone: Mi meraviglio che tu e le tue figlie siate dello stesso sangue: quelle mi vogliono far frustare se dico la verità, tu se dico bugie; e spesso mi frustano perché non dico nulla. Vorrei esser qualunque cosa piuttosto che un buffone, e tuttavia non vorrei essere te, zio mio: tu hai smozzicato il tuo cervello da tutte e due le parti senza lasciar nulla nel mezzo... Adesso sei uno zero senza numero davanti. Io son da più di quel che tu sei ora: almeno io sono un pazzo, e tu non sei nulla. (pagg. 35,36)
La figura del buffone svolge un ruolo fondamentale nella tragedia: uno dei pochissimi personaggi umani, che giudicano le cose dall'esterno, senza farsi irretire da logiche perverse. Spiritoso e intelligente, vede gli sconvolgimenti che investono il suo re e ha pietà di lui. Non teme punizioni per le verità che dice perché appunto egli è il buffone, il folle, e alla follia tutto è concesso. Grave errore ceder il regno, gli ripete, un re non può farlo perché non è una sua proprietà e aggiunge: "Non avresti dovuto diventar vecchio prima di diventar saggio".(pag.65)
Lo scontro fra Goneril e il vecchio padre è inevitabile e rivela una violenza feroce da parte di entrambi. "Bastarda degenere", la definisce Lear quando sa della sua intenzione di cacciarlo e capisce l’errore imperdonabile commesso con Cordelia.
In questo sovrapporsi di vicende e scene drammatiche la critica ha sempre scorto un nucleo sorgivo all’origine della tragedia: il venir meno del potere regale per colpa di una rinuncia sconsiderata, quella di Lear nel nostro caso. Essa inevitabilmente scatena l’ingratitudine e l’avidità, l'accanimento verso la figura del padre-re privato di ogni aura sacrale, l'affermarsi della violenza sull’ innocenza, dell'inganno sulla verità. É lo svolgersi narrativo di questo focus iniziale a determinare l'accavallarsi di azioni e personaggi destinati ad una autodistruzione inevitabile, fino a quando squarci di luce inaspettatamente scaturiranno dal cuore stesso del dramma non lasciando incontrastato il dominio del male.
Al colmo dello sdegno Lear, il più turbolento dei personaggi shakespeariani, abbandona il palazzo invocando la maledizione e la perpetua infecondità del grembo della figlia ingrata, chiamata ”abominevole avvoltoio, mostro marino, donna dalla lingua di serpente, paragonabile a un nibbio, simile nel volto al muso di una lupa, capace di affondare le sue zanne acute nel corpo delle sue vittime”.