La religiosità dell'"Ortis" 3 - La scelta della solitudine

Autore:
Fighera, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Per la sua sensibilità raffinata e profonda, per il suo amore rivolto ai grandi ideali, alla bellezza, all’assoluto, l’eroe romantico si rintana in un giardino di solitudine dove col tempo si ritrova talvolta disperato, fino al suicidio. Incapace di condurre avanti rapporti stabili, vive per l’assoluto che percepisce al di là della realtà più che nella profondità della stessa. Così l’eroe romantico diventa lui stesso assoluto, cioè slegato da tutto e da tutti.
Divengono emblema di questa solitudine, di questa spaccatura con la società, con gli altri intellettuali e con il mondo delle lettere i dipinti di Caspar David Friedrich (1774-1840). L’artista ritrae in famosissimi dipinti personaggi solitari. Nella mente di tutti è stampato quel Viandante in un mare di nebbia, proteso verso un orizzonte incognito e affascinante al contempo. In viaggio, pellegrino, ma non più in compagnia come il pellegrino medioevale o le anime purganti rappresentate da Dante nella loro ascesa verso il Paradiso terrestre. L’eroe romantico non è più con il popolo, incarna magari l’idolo del popolo, ma si è staccato dal popolo. Questa frattura permane ancora oggi. L’intellettuale moderno risente molto di questa spaccatura che è iniziata nell’Umanesimo e che si è ipertrofizzata e amplificata nel corso dei secoli. È una divaricazione tra la cultura e la sensibilità del popolo e quella del poeta e dell’artista, che, come si è già detto, non esisteva in epoca medioevale, quando l’artigiano poteva intendere il messaggio trasmesso da Dante nella Commedia, perché la cultura era omogenea.
In epoca romantica ritorna la figura dell’eroe, che era mancata nel Rinascimento, in età barocca e nell’Illuminismo. Gli eroi sono caratteristici di quelle epoche che concepiscono come determinante il rapporto con il destino e con l’assoluto. Per questo epoca classica e Medioevo cristiano pullulano di eroi. Nel Medioevo cristiano, come si è detto, l’eroe, il cavaliere o il santo che sia, vive il reale nella prospettiva dell’eterno e dell’assoluto. Offre la sua vita per il destino e per il Mistero. Nell’epoca classica, invece, l’eroe arriva a sfidare la divinità, percepita come cattiva, capricciosa o indifferente, a contrapporvisi e a scalare l’Olimpo. L’eroe non afferma sé nell’eterno, ma anche ad onta degli dei. L’eroe romantico recupera la dimensione di positività nei confronti dell’assoluto tipica dell’epoca medioevale, ma il processo di separazione del reale dall’assoluto si è ormai compiuto. Così, l’eroe romantico tende all’assoluto rifiutando o disprezzando la società, non attraversa il reale per trovare l’assoluto, ma scarta il reale per ricercare l’infinito. La cultura illuministica di separazione dei valori dal carnale ha lasciato così il suo segno indelebile anche nelle epoche successive.
All’eroe romantico non piace la società, lui vive per il Mistero e l’assoluto spesso rifiutando il presente e la realtà. L’illuminista concepiva, invece, un futuro perfetto in cui la ragione e la scienza avrebbero superato tutte le difficoltà. Illuminista francese ed eroe romantico rappresentano due facce differenti dell’intellettuale moderno. Avvenuto lo strappo con il popolo, l’intellettuale moderno si percepisce solo, sia che si senta appartenente ad una tradizione come l’eroe romantico sia che invece si veda membro di una comunità più grande, la stessa umanità e il mondo, e, quindi, a nessuna patria, come l’illuminista.