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Federigo Tozzi: violenza e desiderio di redenzione 4 - Tra poetica e opera

Autore:
Bortolozzo, Carlo
Fonte:
CulturaCattolica.it
“Ai più interessa un omicidio o un suicidio; ma è ugualmente interessante, se non di più, anche l’intuizione e quindi il racconto di un qualsiasi misterioso atto nostro; come potrebbe esser quello, per esempio, di un uomo che a un certo punto della sua strada si sofferma per raccogliere un sasso che vede e poi prosegue la sua passeggiata. Tutto consiste nel come è vista l’umanità e la natura”.

Lo scritto di poetica più significativo di Tozzi si intitola Come leggo io, composto nel 1919 ma pubblicato postumo. (1) Si tratta di un testo estremamente importante, in quanto l’autore, nell’indicare la sua modalità di lettura, designa evidentemente una precisa poetica personale; essa si potrebbe definire “poetica del frammento” o dello “sguardo” e ricerca della profondità dell’agire umano. Tozzi si dichiara indifferente alla meccanica “romanzesca” della trama: “Ai più interessa un omicidio o un suicidio; ma è ugualmente interessante, se non di più, anche l’intuizione e quindi il racconto di un qualsiasi misterioso atto nostro; come potrebbe esser quello, per esempio, di un uomo che a un certo punto della sua strada si sofferma per raccogliere un sasso che vede e poi prosegue la sua passeggiata. Tutto consiste nel come è vista l’umanità e la natura”. Ed ancora, perentoriamente. “Io dichiaro d’ignorare le ‘trame’ di qualsiasi romanzo; perché, a conoscerle, avrei perso tempo e basta. La mia soddisfazione è di poter trovare qualche ‘pezzo’ dove sul serio lo scrittore sia riuscito a indicarmi una qualunque parvenza della nostra fuggitiva realtà”. (2)
Dichiarazioni davvero illuminanti, come si vede, in grado, da una parte, di liquidare una convenzionale eredità narrativa ottocentesca (e magari degli epigoni novecenteschi), ma anche di delineare interessanti scenari della percezione e dell’arte moderna, inclini a riconoscere la totalità del reale nel minimo frammento della quotidianità (è sufficiente pensare, per rimanere alla letteratura, ai grandi nomi di Proust e Joyce, per la filosofia a Bergson e quindi alla psicanalisi di Freud).
Ad un certo punto della sua riflessione, a Tozzi dovette apparire decisiva la percezione del Mistero che circonda ogni nostro atto; questo funzionerà da substrato di tutta la sua produzione, compresi Il podere e Tre croci, praticamente coevi a questo scritto e dunque riconducibili alla stessa poetica che governa Con gli occhi chiusi, mentre le scelte stilistico-formali e le stesse strutture narrative si impongono per la loro innegabile diversità. Ciò che a noi sembra importante, in ogni caso, è riconoscere come per Tozzi la percezione dei “misteriosi atti nostri” sia il dato di partenza e non di arrivo della sua poetica. Pochi anni dopo, Ungaretti affermerà: “Il punto d’appoggio sarà il mistero, e mistero è il soffio che circola in noi e che ci anima”.

NOTE
1. Originariamente in F. Tozzi, Realtà di ieri e di oggi, Milano, Alpes 1928, si può ora leggere in F. Tozzi, Opere, Romanzi, Prose, Novelle, Saggi, a cura di M. Marchi, introduzione di G. Luti, A. Mondadori, Milano 1987, pp.1324-1327.
2. Id,, p.1325.

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