Federigo Tozzi: violenza e desiderio di redenzione 2 – La vita
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In uno scrittore così ossessionato dalla sua storia personale, non possiamo ignorare qualche elemento biografico, indispensabile per una corretta lettura della sua opera. Un temperamento inquieto, si diceva. Moravia, che nutriva una grande stima per lo scrittore senese, ce ne ha lasciato un ritratto icastico: “sarebbe stato probabilmente fascista se non fosse morto ancora giovane per una polmonite, che si buscò andando in motocicletta da Siena a Roma”(1). Il padre, figura di selfmademan, contadino arricchito divenuto proprietario di una fattoria e di due poderi, volle imporre al figlio il suo stesso nome; la madre, una trovatella debole e di animo delicato, è succube del marito; la storia di Federigo è, da subito, una lotta per emanciparsi dal padre, uomo imponente fisicamente e caratterialmente: ma sarà una rivolta non priva di ambiguità e di sotterranea ammirazione, e perfino di invidia, per il genitore. Lo strumento di questa liberazione non sarà la scuola. Il giovane cresce svogliato e passa senza fortuna da un istituto all’altro; ama però leggere e si forma rapidamente una cultura autodidatta, anche su esempi stranieri, tra cui spicca la lettura dello psicologo americano William James (fratello del noto scrittore Henry James), il quale avrà una larga influenza sul romanzo modernista inglese. Turbolenta anche la sua vita sentimentale: si innamora prima della scaltra e sensuale Isola (la Ghìsola di Con gli occhi chiusi) e in seguito di Emma, ragazza fine e intelligente, fervente cattolica, che sposerà nel 1908, l’anno della morte del padre, da cui eredita fattoria e poderi, di cui si disfa rapidamente (è l’esperienza trasfigurata ne Il podere). È un anno decisivo per Tozzi: decide di trasferirsi nel podere di Castagneto, dove resterà fino al 1914. Già da qualche anno si era riaccostato alla fede cattolica, sulla spinta della moglie e della lettura dei grandi mistici, fra cui quelli senesi, S. Caterina e S. Bernardino; gradualmente si libererà dall’influenza dannunziana, molto evidente nelle poesie giovanili de La zampogna verde, sostituita da quella di Verga e Dostoevskij; con l’amico Domenico Giuliotti fonda una rivista, “La Torre”, in cui la religione cattolica si unisce a elementi nazionalisti ed aggressivi; il 1913 è l’anno della composizione di Con gli occhi chiusi, poi rivisto e pubblicato nel 1919. Nel 1914 comincia il “sessennio romano”: lo scrittore si trasferisce nella capitale con la moglie e il figlioletto Glauco (che diventerà il curatore delle sue opere); frequenta il critico Borghese, il suo più autorevole sostenitore, e poi Pirandello, a cui dedicherà il suo ultimo romanzo, Tre croci. Una relazione extra coniugale fa precipitare i rapporti con Emma, che deciderà di separarsi temporaneamente dal marito; in seguito si riavvicineranno, ma i loro rapporti si limiteranno a una sfera di amicizia morale e intellettuale. Allo scoppio della prima guerra mondiale troviamo Tozzi volontario nella Croce Rossa, ma sono anche anni di grande fervore creativo; nel 1917 pubblica da Treves, il più importante editore dell’epoca, gli aforismi di Bestie, quindi scrive, in rapida successione, Il podere nell’estate del 1918 e, nello stesso anno, in soli quindici giorni, tra ottobre e novembre, Tre croci. Quasi sentendosi la morte addosso, Tozzi rivede Con gli occhi chiusi (che pubblicherà nel ’19), rielabora gli appunti giovanili di Ricordi di un impiegato e inizia la stesura dell’ultimo romanzo, che non riuscirà a terminare, Gli egoisti (uscirà nel 1923). La frenetica attività deve comprendere le novelle, composte in gran parte in questi anni e pubblicate su varie riviste; Tozzi ne scrisse alla fine 120 (cifra sbalorditiva, se riferita ai pochi anni che ebbe a disposizione lo scrittore), alcune delle quali di altissimo livello, che fanno di Tozzi uno degli specialisti del genere. Morirà nel marzo del 1920, pochi giorni dopo la pubblicazione di Tre croci.
NOTE
1. A. Moravia, Intervista sullo scrittore scomodo, a cura di N. Ajello, Laterza, Bari 1978, p. 118.