“La giornata di uno scrutatore” di Italo Calvino 3 – La tristezza di un adulto
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Realtà o ideologia?
Semplice, breve, apparentemente solo la cronaca di un giorno insolito, La giornata di uno scrutatore è il diario di un miracolo, di un’Epifania, della scoperta che la realtà c’è ed è affascinante. È il resoconto di alcuni incontri che portano il protagonista ad una presa di coscienza che di fronte alla vita l’uomo può assumere due atteggiamenti: quello più frequente è partire dal proprio pensiero, dai propri preconcetti e di applicarli alla realtà, a quanto osservato, in un certo modo subordinando il dato esistente alla personale speculazione intellettiva; oppure l’alternativa è quella di guardare la realtà tenendo ben presente l’ideale incontrato e sorprendersi così pervasi da uno sguardo di tenerezza e direi quasi comprensione per l’umano. Atteggiamento ideologico e sguardo realistico sono le due espressioni che possono ben sintetizzare le due posizioni sopra descritte. Ebbene La giornata di uno scrutatore è una delle attestazioni più schiette che siamo tutti possibili vittime dell’ideologia e che l’antidoto all’ideologia è proprio l’apertura di una finestra sulla realtà, finestra che, una volta aperta e spalancata, permette agli occhi di sorprendere pianure immense e alle orecchie di udire parole prima non udibili: un’attrattiva, un fascino, una bellezza allora ci chiamano e ci spronano a uscire dal grigiore in cui si era piombati.
La tristezza di un adulto
Amerigo Ormea, protagonista del testo, rappresenta in un certo senso l’uomo moderno. In maniera simbolica il suo viaggio conduce su una strada che non porta ad alcuna pienezza, ad alcuna meta. Per lui crescere, fare esperienze, significa diventare un poco pessimista, cinico. L’adulto è chi sa già e conosce già e non ha, quindi, tempo per lasciarsi sorprendere: «Nella politica come in tutto il resto della vita, per chi non è un balordo, contano quei due principi lì: non farsi mai troppe illusioni e non smettere di credere che ogni cosa che fai potrà servire».
Iscritto al partito comunista, considerato «elemento preparato e di buon senso», ora viene fatto scrutatore proprio in un seggio di un grande istituto religioso: il Cottolengo, la piccola casa della Divina Misericordia. È un enorme ospizio, una città nella città, fondata tra il 1832 e il 1842 da un prete che in mezzo a difficoltà e incomprensioni aveva amministrato questo monumento della carità, tra gli infelici, i minorati, i deformi, quelle creature nascoste «che non si permette a nessuno di vedere». Nel Secondo Dopoguerra, da quando il voto è diventato obbligatorio, ospizi e istituti religiosi erano considerati, da alcuni partiti politici, una grande riserva di suffragi per il partito democristiano. Amerigo si reca al Cottolengo quasi investito di un compito: quello di verificare le truffe, scoprire i brogli e le prevaricazioni, «nella parte di un ultimo anonimo erede del razionalismo settecentesco». Ebbene al seggio Amerigo si sorprende nel vedere insieme i credenti dell’ordine divino e i compagni suoi «ben coscienti dell’inganno borghese di tutta la baracca». Al suo sopraggiungere nell’istituto Amerigo è convinto che un tempo sì quell’organismo è stato vivo, ma che, poi, anche lì sono entrati l’amministrazione, la produttività e la produttività di voti. Poi un brulicare di domande inizia a frastornare la mente di quest’uomo: il Cottolengo è un’istituzione o una risposta ai bisogni umani? Si opera bene nell’organizzazione e nell’associazione o nell’amorevole e precisa risposta alle esigenze delle persone? In quel seggio elettorale lo scrutatore vede sfilare un’Italia nascosta, il segreto di tante famiglie. Quei corpi deformi sono «il rischio di uno sbaglio che la materia di cui è fatta la specie umana corre ogni volta che si riproduce». Lo stesso caso ha fatto di lui un «cittadino responsabile, un elettore cosciente, partecipe del potere democratico» e non un idiota del Cottolengo. Così, di fronte a quei poveretti, Amerigo si sorprende antidemocratico, la sua certezza di essere cresciuto con valori incrollabili comincia a vacillare: come può il suo voto di uomo intelligente e cosciente valere come quello di persone lontane dal mondo, lontane dalla democrazia, lontane dal sistema? Il credo illuministico aveva posto l’uomo come protagonista unico ed esclusivo della storia, essere chiamato a sostituire Dio, quel Dio che era fatto soltanto per gli indifesi, per i deboli, per i poveri, per chi non poteva che appellarsi a Lui. Nel Cottolengo è evidente come l’idea di perfezione dell’uomo sia ben lungi dal possedere un benché minimo attestato di attendibilità, la carne di Adamo appare «misera e infetta». Ad Amerigo una geniale intuizione balena per la mente: lì, pur sempre, Dio può salvare con la grazia quella carne limitata e la storia sembra essere, finalmente, restituita nelle mani di Dio; aveva per caso il comunismo restituito la vista ai ciechi o fatto camminare gli zoppi? Lì, in qualche modo, ciò avviene!