“Il Visconte dimezzato” di Italo Calvino 2 – Il tema del dimezzamento
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Lo spunto a scrivere quindi non era venuto dal rinnegamento ideologico dei contenuti precedenti, ma piuttosto da una urgenza narrativa dettata alla sua creatività e vena fantastica: certe immagini erano emerse dalla sua memoria con irruenza sempre crescente, fino ad imporsi e a spingerlo a scrivere (come del resto avviene nei Sei personaggi in cerca d’Autore di Pirandello, dove i personaggi si impongono al capocomico, che cerca invano di resistere, per rappresentare il loro dramma).
Lasciati i primi temi suggeriti a Calvino dalle sue esperienze di partigiano, catturato e sfuggito ai tedeschi, dalle ferite incise nei cuori dalla guerra (e “tutti abbiamo una ferita segreta” aveva scritto l’Autore nel capitolo IX de Il sentiero dei nidi di ragno), dalle discussioni politiche e ideologiche, l’Autore intende ora esplorare altri mondi tra fiaba e allegoria, più lievi, con l’intento di “divertire me stesso e, possibilmente, anche gli altri”.
Questa la genesi dei romanzi: Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente poi riuniti nel 1960 col titolo: I nostri antenati.
La nuova realtà fantasiosa che egli mostra di prediligere, gli permette di rivelare il vero volto delle cose, il loro nascosto segreto, lasciando in ombra chi scrive, pago della lontananza conquistata e del sorriso con cui sono narrate le vicende che la fantasia gli suggerisce
“Chi vuol guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria” dice l’Autore ne Il barone rampante e ancora ribadisce ne Le città invisibili: “Era al di là di quello schermo di umori volatili che il suo sguardo voleva giungere: la forma delle cose si distingue meglio in lontananza”
Ma dove era stato trovato il tema del primo racconto?
Come era emersa dal ricordo l’immagine fisica dell’uomo dimezzato, di cui si parla?
Quali significati aveva evocato nella mente dell’Autore quella figura terrificante ed emblematica?
Possiamo tentare qualche ipotesi: forse era il contenuto di una fiaba popolare sentita da bambino, oppure, data la formazione classica di Calvino (aveva studiato al Ginnasio-Liceo “Cassini” di Sanremo), si rifaceva al mito di Zeus (narrato da Aristofane nel “Simposio” di Platone) che divise in due l’uomo, perché diventato troppo forte e temibile; oppure ancora Calvino era rimasto colpito dalla pagina del Principe di Machiavelli, dove si racconta che Cesare Borgia, per conquistare la fiducia dei cittadini, aveva mostrato nella piazza di Cesena i due tronconi di Remirro de Orco, odiato per la sua crudeltà.
Calvino non specifica e noi non lo sapremo mai.
Dice solo che il tema del dimezzamento aveva lavorato dentro di lui, portandolo a pensare che fosse “un tema significativo, che avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti”.
Ogni uomo dunque secondo Calvino vive l’esperienza dell’incompiutezza, la coscienza di un vuoto, di una mancanza, quasi fosse venuta meno quella parte di sé, che in un tempo antico permetteva unità e interezza.
Con questa chiave di lettura allegorica noi leggiamo il romanzo, per scoprire tutto ciò che la fiaba può significare, perché, come afferma lo scrittore: “Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto”.
(I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore)