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"Il pranzo di Babette" 7 - La cena per il genetliaco

Fonte:
CulturaCattolica.it

La cena per il genetliaco
Per la cena tutto mutò aspetto: il divano fu spostato nella sala da pranzo, la biancheria da tavola e l’argenteria furono lavate e lucidate, caraffe, brocche e bicchieri fecero la loro comparsa sulla tavola allestita per il grande evento. La cucina divenne il regno incontrastato di Babette e del nipote dai capelli rossi che lì si muovevano silenziosamente fra padelle, fuochi e paioli, e nessuno aveva il permesso di accedere in quella fucina di sapori e odori.
Le devote figlie ornarono con una ghirlanda profumata di ginepro il ritratto del padre, appeso alla parete, e indossarono per l’occasione il vecchio abito nero e la croce della Cresima.
Arrivata la sera tanto attesa, Fratelli e Sorelle si presentarono all’ingresso solennemente, grati del tepore e del lieve profumo che avvolgeva l’ambiente e davanti al ritratto inghirlandato del loro Pastore intonarono un inno di ringraziamento, interrotto dall’arrivo della anziana zia e del generale Loewenhielm alto, rubicondo, coperto di medaglie e onorificenze.
Ma nonostante l’aspetto glorioso e imponente, il cuore dell’alto ufficiale non era lieto e si era rifugiato nella casa di campagna della anziana parente per allontanarsi da un ambiente che non lo appagava più come in gioventù. Aveva ottenuto tutto quello che si era sforzato di ottenere: era ammirato e invidiato, aveva combattuto con successo e raggiunto i più alti gradi della carriera militare, aveva una moglie brillante frequentatrice di Corte e salotti alla moda, anche se non si occupava della cucina a cui egli invece attribuiva grande importanza, ma la “spina legnosa”, come la definisce la Blixen, non era lì.
Il maturo Lorens aveva iniziato a porsi molte domande sul suo passato e temeva che tutte le vittorie conseguite si rivelassero, con il passare degli anni, una sconfitta. Ora, leggiamo, il saggio ed orgoglioso uomo maturo si rivolgeva alla giovane e ingenua figura (il se stesso di un tempo lontano) per chiederle, con gravità, finanche con amarezza, quale giovamento ne aveva tratto. A un certo punto qualcosa si era smarrito.
Quando il giovane aiutante dai capelli rossi aprì le porte della sala da pranzo i commensali entrarono in silenzio, inconsapevoli di ciò che totalmente inatteso, gratuito e dotato di bellezza e conforto li attendeva.
La fiamma delle candele si rifletteva sulla divisa del generale e sul volto di Martina che gli appariva ancor più bello di quando l’aveva lasciata, anche se fili d’argento striavano ora i suoi capelli.

Seduti, i membri anziani rivolsero al Signore il loro pensiero e ringraziamento con le parole del decano:
Possa il mio cibo nutrire il mio corpo, possa il mio corpo sostenere la mia anima, possa la mia anima in atti e in parole render grazie al Signore per ogni cosa.
E i convitati si ricordarono del giuramento fatto: non avrebbero in nessun modo fatto alcun accenno al cibo.
Dopo il primo bicchiere di Amontillado (8) versato dal garzone che serviva al generale, e l’eccellente brodo di tartaruga presentato agli ospiti seguito da un secondo e terzo bicchiere questa volta di Veuve Cliquot 1860, il generale Loewenhielm non poté non avere un sussulto di sorpresa e ammirazione, esploso nel silenzio di chi gli sedeva vicino imperturbabile e indifferente.
Pietanze, zuppe, timballi, sapori e spezie ingredienti sapientemente fusi e giustapposti, vini scelti e variamente serviti in armonia con le portate, si offrivano in quel banchetto inatteso secondo i canoni della più alta cucina francese del tempo, realizzando una composizione unitaria e perfetta nella sua varietà e complessità.
Subito dopo il brodo era stata la volta del Blinis Dermidoff e poi delle quaglie en sarcophage seguite da insalata, formaggi e Savarin misti babà con rum o panna o gelatina di albicocche o frutti rossi.
Alla mente di Lorens si affacciò un ricordo lontano, quando al famoso ristorante parigino Café Anglais, le stesse portate che ora riconosceva e assaporava l’una dopo l’altra, accompagnate dai medesimi vini preziosi, il colonnello Galliffet, nemico acerrimo dei comunardi, gli aveva fatto una confessione. Il piatto delle quaglie in sarcofago era stato inventato dal più grande genio culinario dell’epoca e, cosa ancor più sorprendente, quel genio era una donna. Per lei sarebbe stato disposto a versare il suo sangue.
A Berlevaag normalmente durante la cena nessuno parlava molto. Ma in quell’occasione la bellezza della tavola, la vista dei calici di cristallo, i piatti finemente decorati, le zuppiere ricolme di ogni ben di Dio, il piacere di condividere la cena assieme ringraziandone il Signore, lentamente risvegliavano le sopite energie del corpo come quelle dello spirito.

Come scrive il filosofo Finkielkraut commentando questo passo del testo: “Lo spirito in crisi riprese vigore, grazie ad un inatteso incantamento prodotto dalla materia. La natura si autoinvitò al cenacolo di quanti vedevano in essa la caduta del peccato e restituì loro la grazia. I sensi dei fratelli e delle sorelle furono strappati al sonno e il risveglio spalancò loro le porte dell’ideale” (A.Finkielkraut, Un cuore intelligente)
L’aiutante di Babette colmò di nuovo i bicchieri e i commensali sorrisero come bambini davanti al trionfo di uva, pesche, fichi freschi, tartufi al rum, pinolate e frollini e amaretti che fecero la comparsa alla fine del pranzo. Sembrava loro che la terra dell’Eden si fosse materializzata tra loro in quella stanza.

NOTE
8. Amontillado, proveniente dalla regione della Montilla vicino a Cordova in Spagna, è un vino liquoroso pregiato che comincia a diffondersi in Europa nel XVIII secolo. Diviene subito una sorta di vino letterario, citato nei racconti di Edgar Allan Poe e Joris Karl Huysmans oltre che nel lavoro della Blixen.

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