"Il pranzo di Babette" 6 - La vincita inaspettata
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La vincita inaspettata
Un giorno d’estate, Babette ricevette una lettera di provenienza francese. Chi poteva ricordarsi di lei? Quali fantasmi riemergevano dal passato per lei che aveva perso tutto e tutti coloro che le erano stati cari?
Mentre Martina e Filippa si interrogavano sui contenuti della misteriosa missiva, Babette rivelò loro che il numero di un suo biglietto della lotteria era stato estratto tempo addietro e la vincita ammontava a 10.000 franchi.
Esultarono assieme di gioia, ma ben presto Martina e Filippa si chiesero cosa sarebbe successo loro dopo quella vincita. Anche gli amici dapprima si rallegrarono per la notizia. Ma ben presto tutti pensavano al vuoto che avrebbe lasciato la francese se fosse tornata, ora ricca, in patria.
Non ci sarebbe più stato chi trattava abilmente con i commercianti, chi sceglieva con occhio esperto al mercato i pezzi di stoccafisso più belli risparmiando sugli acquisti. Nessuno lo sapeva fare meglio di Babette. Come avrebbero potuto dedicare il loro tempo ai più poveri le due Sorelline, pensavano i Confratelli, quando avessero dovuto di nuovo occuparsi delle faccende di casa? E quelle zuppe miracolosamente gustose e saporite portate ai malati sarebbero tornate insipide e scialbe come 12 anni prima.
Decisamente la lettera, avevano concluso tutti, era una faccenda empia e portava solo male.
La proposta di Babette
Preoccupazione e rassegnazione rattristavano Martina e Filippa, quando una sera Babette, con aria umile e quasi vergognosa, si affacciò al salotto e chiese alle due donne di poter parlare.
Le avrebbero permesso, proprio in occasione dell’anniversario del pastore, di occuparsi lei della cena e di cucinare cibi alla francese, quali mai avevano prima assaggiato?
Se fino a quel momento si era pensato al massimo di festeggiare il genetliaco con una buona tazza di caffè sorseggiata assieme, ora Babette chiedeva di preparare diverse portate, cucinate interamente da lei, e senza alcun compenso. Questo era l’unico regalo che chiedeva dopo tanti anni di fedele servizio. Non si poteva deluderla e il permesso, pur con qualche timore, fu accordato. Nessuno poteva immaginare che tale assenso e lo svolgersi della serata celebrativa avrebbero avuto esiti sorprendenti, benefici e benigni per ciascuno dei convitati.
Ognuno alla fine della serata si sarebbe sentito in pace con se stesso e con gli altri, e lieto.
Babette si trasformò agli occhi di tutti in un’altra persona: vivace, instancabile, fantasiosa e sicura di sé. Partì in Novembre per un viaggio di una decina di giorni, senza rivelarne la meta, ricontattò il nipote che l’aveva portata a Berlevaag in nave, gli affidò un elenco dettagliato di provviste da procurarsi.
Rientrata a Berlevaag assieme con il nipote, aveva fatto sbarcare con ogni cura le merci richieste e ordinato di trasportarle direttamente in cucina. Comparve dapprima sulla strada che portava alla casa del decano, accompagnata dallo stupore misto a disapprovazione e curiosità dei vicini una carriola carica di vini francesi del 1846, seguita da altri carri con ogni tipo di carni, verdure, frutta, dolci e formaggi e infine fra lo sconcerto di Martina fu rovesciata a terra una tartaruga enorme, come non ne aveva mai viste.
In preda al panico e ai rimorsi, Martina convocò prontamente gli invitati alla festa e confessò loro fra le lacrime di non conoscere i vini, i cibi e gli ingredienti che sarebbero stati loro serviti e temeva per loro. I confratelli la confortarono e promisero in quel gran giorno nessuno avrebbe commentato il cibo e le bevande, fossero pure ranocchi e serpenti.
Un ospite inatteso si era aggiunto la mattina del compleanno: la zia del generale Loewenhielm, eccezionalmente in visita presso di lei, chiedeva di poterlo portare con sé, perché, “ il caro ragazzo” come lo aveva definito la vecchia signora, appariva triste e abbattuto.
Le padrone di casa ricordarono il giovane ufficiale e le sue visite e risposero che sarebbe stato il benvenuto. Anche Babette accolse con soddisfazione la notizia, perché il nuovo ospite era vissuto molti anni a Parigi.