"Il pranzo di Babette" 4 - La poetica di Karen Blixen
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La concezione del racconto dell’Autrice
Per l’Autrice la scrittura riveste infatti un significato e un valore particolare, potremmo dire salvifico e procedendo nel commento del testo, vedremo come.
Nella sua vita Karen Blixen si è sempre dedicata a scrivere racconti e romanzi, anche nei momenti più drammatici: quando era fallito il suo matrimonio col barone Bror von Blixen, un incidente d’aereo aveva provocato la morte del l’uomo da lei amato Denys Finch, quando aveva dovuto vendere l’azienda agricola in Kenia per fallimento ed era tornata in patria; rientrata in Danimarca aveva poi dovuto curare la sifilide trasmessale dal marito. Ma, ricordano i suoi biografi, anche quando le mancavano le forze negli ultimi anni, dettava i testi alla segretaria pur di non rinunciare a scrivere, considerando la scrittura la sua unica e ultima ricchezza.
L’Autrice scrive ne La mia Africa che quando Denys rientrava dai suoi safari, lei amava sedersi accanto a lui per terra, con le gambe incrociate e, come la Sheherazade delle Mille e una notte, lo incantava narrandogli le sue storie fantasiose e simboliche, sempre nuove e diverse.
Diceva di sé: «Io sono una cantastorie e nient’altro che una cantastorie… Riuscire a trasformare le vicende della propria vita in racconti è una grande gioia, forse l’unica felicità assoluta che un essere umano possa trovare su questa terra” (K. Blixen, Carnevale e altri racconti postumi). E ancora: “Tutti i dolori sono sopportabili se li si fa entrare in una storia, o se si può raccontare una storia su di essi.” (5)
Ogni uomo infatti vive e si muove , secondo l’Autrice, all’interno di una storia che però deve essere raccontata e integrata da qualcun altro che ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi (del resto tutti noi abbiamo appreso la storia della nostra nascita e dei nostri nonni e amici attraverso le parole di un altro).
E il Narratore ha questo supremo dono e compito: sa leggere e ricostruire la complessa trama di cui è fatta la identità profonda di ciascuno, senza tralasciare nulla delle relazioni, incontri e fatti gioiosi e dolorosi, presenti e passati dei quali talora si è persa o censurata la memoria.
Solo lui quando scrive è in grado di portare alla luce le verità nascoste e quel Disegno unitario, provvidenziale e misterioso in cui ogni tassello della vita trova il suo posto, significato e compimento.
E, come ricorda Hannah Arendt, nel suo saggio sulla Blixen citando una famosa frase dell’Autrice: «La storia rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi“(6)
NOTE
5. E Adriana Cavarero spiegando l’identità narrabile presente come desiderio in ogni uomo spiega: E' come se io desiderassi che qualcuno mi raccontasse la mia storia, o, altrimenti, detto in maniera meno egoistica, come se io vivessi la mia vita avendo come desiderio che la mia vita non venga costituita da un susseguirsi, per così dire, casuale di eventi, ma che essa abbia in sé una sorta di trama narrativa e che quindi sia narrabile (Adriana Cavarero, L’identità, Questioni di filosofia, 1998).
6. Queste sono le parole attribuite alla Dinesen (Karen Blixen era il suo nome d’arte), ma nessuno è stato in grado di trovarle nell'opera della scrittrice danese e la cui origine, come dice Wilkinson, potrebbe essere un'intervista telefonica, pubblicata il 3 novembre 1953 in The New York Times Book Review. La Arendt sembra aver letto molti racconti della Dinesen infatti in The Human Condition lei chiaramente si riferisce a The Dreamers e Converse di notte a Copenaghen (Saggio di Hannah Arendt su Isak Dinesen).