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"Il pranzo di Babette" 2 - Martina e Filippa, le graziose figlie del Decano puritano

Fonte:
CulturaCattolica.it

L’inizio del racconto
Il racconto ci parla di due anziane signore che hanno trascorso la loro vita presso il Fiordo di Berlevaag in Norvegia.
I loro nomi, Martina e Filippa, erano stati scelti in onore di Martin Lutero e Filippo Melantone (3) dal padre che aveva fondato nel 1850 una setta religiosa, di cui era il Decano, che si ispirava al pensiero dei due pensatori e che era conosciuta e rispettata nel villaggio per il suo rigore: nulla contavano i piaceri terreni e illusoria era giudicata ogni felicità su questa terra. Solo la Nuova Gerusalemme preparata per gli eletti doveva colmare ogni attesa e desiderio.
Questo è lo sfondo in cui si colloca la storia raccontata: un paese su un fiordo stretto fra le montagne circostanti, difficile da raggiungere, pochi abitanti per lo più anziani, un pugno di case sparse e una concezione della vita angusta come il luogo in cui abitano.
I rapporti fra gli adepti della setta apparivano di reciproco rispetto, ma in realtà erano poco amichevoli, pur appellandosi essi Fratello e Sorella, e più d’uno col passare del tempo si era allontanato dal padre fondatore, anche a causa dei continui litigi, mormorii e accuse reciproche che serpeggiavano all’interno del piccolo gruppo di seguaci, arroccati ognuno nel proprio rigido moralismo e chiusi al mondo.
Tutti conoscevano le figlie del Decano puritano, il mio braccio destro e quello sinistro, come le aveva definite il pastore e dopo la sua morte esse avevano continuato a riunire i membri della Congregazione per leggere assieme i testi religiosi, dedicare tempo e conforto ai bisognosi, portare da mangiare ai più vecchi e agli ammalati.
In gioventù le due sorelline, come vengono spesso chiamate, erano state estremamente graziose, ma avevano sempre saputo tenersi lontane dagli assalti dell’amore terreno, per immolarsi al padre, ai suoi insegnamenti e alle opere di carità.

Il giovane ufficiale
Tuttavia nel 1854, quando Martina aveva 18 anni, la sua bellezza splendente aveva abbagliato un giorno il giovane ufficiale della cavalleria svedese Lorens Loewenhielm. Rampollo scavezzacollo e fonte di preoccupazione per la vita disordinata e libertina e i debiti contratti, era stato inviato dal padre per punizione presso una vecchia zia nella casa di campagna vicino a Berlevaag, perché si ravvedesse e cessasse di dilapidare il patrimonio famigliare.
Mentre solitario passeggiava a cavallo nella piazza del mercato, Lorens passò accanto a Martina.
Così è descritto il loro incontro: “Egli guardò alla bella ragazza ed ella guardò su al bel cavaliere”.
Da quel fuggevole istante l’immagine di quell’angelo dai capelli d’oro lo accompagnava con la sua purezza e semplicità, ma, pur avendo ottenuto di essere ammesso alla casa del pastore, non riuscì mai nei loro brevi incontri a parlare liberamente.
“Cari Fratelli- ripeteva il Decano- la Misericordia e la Verità si sono incontrate. Rettitudine e Felicità si sono baciate.” E i pensieri del giovane, scrive la Blixen, andavano al momento in cui lui e Martina si sarebbero baciati. Non osò però mai confessare alla fanciulla il suo amore e il turbamento profondo che la sua vicinanza suscitava in lui, spingendolo dopo ogni incontro a piangere amaramente sulla sua vita passata, spregevole e dissipata.
Il contatto con la sua bellezza aveva fatto prodigiosamente riemergere in lui quelle profonde e antiche propensioni al bene e ad una vita più degna che abitavano un tempo il fondo del suo cuore, poi allontanate e misconosciute col passare degli anni. Ora ricomparivano con forza, rivelando al giovane ufficiale se stesso e il suo animo buono.
Ma la sua vita aveva già preso un’altra direzione. Questo il dramma di Lorens. Alla fine egli capì di non poter affrontare quella sfida che la realtà gli proponeva e decise di abbandonare Berlevaag, dopo essersi però accomiatato da Martina.
Stava per andarsene in muta disperazione ma, sulla soglia di casa, le afferrò all'improvviso una mano e se la premette contro le labbra. “Me ne vado per sempre!, le gridò, non ti rivedrò mai mai più! Qui ho davvero imparato che il Destino è duro, e che in questo mondo esistono cose impossibili”.
Con queste parole lo strappo era avvenuto e la scelta era stata presa: avrebbe rinunciato per sempre a ciò che all’improvviso si era spalancato davanti ai suoi occhi. Sarebbe tornato al suo mondo impedendosi di ricordare e non avrebbe mai raccontato agli altri ufficiali il suo innamoramento. Da quel momento, racconta l’Autrice, si era buttato a capofitto nella carriera militare, perseguendone onori e privilegi, aveva visto dischiudersi davanti a lui le porte dei salotti mondani e della corte, convincendosi alla fine a sposare una dama d’onore della regina Sofia e a seppellire l’immagine di Martina e di Berlevaag.
Quando nelle serate invernali la sorella Filippa portava il discorso sul bell’ufficiale che come un’apparizione aveva frequentato per breve tempo la loro casa, Martina rispondeva con garbo mostrando un volto fermo e sereno e deviava ben presto il discorso.

NOTE
3. Filippo Melantone, nome italianizzato di Philippus Melanchthon nato Philipp Schwarzerdt (Bretten, 16 febbraio 1497 – Wittenberg, 19 aprile 1560), è stato un umanista e teologo tedesco, amico personale di Lutero e uno dei maggiori protagonisti della Riforma protestante.

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