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“Il potere e la gloria” 6 – La compassione del prete peccatore

Fonte:
CulturaCattolica.it

Il romanzo presenta nell’ultima parte scenari diversi che si alternano e si sovrappongono con ritmo incalzante: il protagonista si avvia verso il confine, affronta mille sotterfugi per comprare un po’ di vino per la celebrazione della messa, ma glielo sottraggono in una bettola, trascorre una notte in prigione per una bottiglia di acquavite, fra delinquenti e disperati che egli chiama “figli miei” e, infine, rilasciato all’alba, riceve per pietà del suo stato miserevole qualche soldo proprio dal luogotenente che come un segugio lo sta inseguendo, ma che non lo riconosce.
Oltrepassa il confine e viene ospitato da due luterani, fratello e sorella, che lo accolgono nella loro casa, lo nutrono e lo curano. Presso di loro prova un senso di pace da tempo sconosciuto, il gusto dei panni puliti, dei pasti caldi, del bagno nelle fresche acque del torrente. Ora finalmente è in salvo: troverà chi lo confessi, riavrà la stima dei suoi fedeli, tornerà a celebrare un gran numero di confessioni e cresime per la gioia di tutti, nell’attesa che si realizzi il suo desiderio più grande: che arrivi un giorno qualcuno più degno di lui.
Ma il romanzo riserva un ultimo colpo di scena.
Un peone che lo conosceva bene e lo aveva già tradito lo raggiunge, perché il “gringo”, il bandito ricercato, è in fin di vita e sicuramente il prete non vorrà lasciarlo morire come un cane.
Il protagonista vorrebbe non ascoltare, ma la sua profonda compassione per ogni uomo privato di Dio è più forte della sua viltà. Torna sui suoi passi nel paese dove è braccato e, quasi lieto per ciò che sicuramente lo aspetta, si libera di ogni bene, soldi e cibo e durante il viaggio sul mulo canterella, quasi andasse incontro a ciò che ha sempre atteso e desiderato, e vedesse finalmente compiersi il destino segnato per lui da un Altro.
Raggiungerà il gringo in fin di vita e gli porterà il perdono divino, anche se il bandito fino all’ultimo rifiuterà di pentirsi e dopo, docilmente, seguirà i soldati che gli hanno teso una trappola e lì lo attendono.
Il racconto sta per concludersi: il protagonista non riuscirà a confessarsi perché padre Josè si rifiuterà di raggiungerlo e assolverlo, e così affronterà l’ultima notte della sua vita parlando col tenente ateo che continua a non capire quel prete che si dichiara peccatore, ma che non rinnega, pur avendo paura della morte.
“ Il fatto che io sia un vigliacco… e tutto il resto, non ha molta importanza. Io posso ugualmente deporre Dio nella bocca di un uomo e posso dargli il perdono di Dio. E questo varrebbe anche se ogni prete della chiesa fosse come me.” ” Ecco un’altra cosa che non capisco- disse il tenente - Come mai lei, proprio lei, è rimasto, mentre gli altri sono fuggiti” “ E’ stato l’orgoglio a far cadere gli angeli. L’orgoglio è la peggior cosa che ci sia. Mi sentivo un tipo così in gamba, a essere rimasto quando tutti gli altri se ne erano andati, e, visto che ero così in gamba, pensai che potevo darmi le regole che volevo. Smisi i digiuni, la messa quotidiana, trascurai le mie preghiere… finché un giorno…ho messo al mondo questa figlia. Tutto per orgoglio: Orgoglio perché ero rimasto: non servivo a niente, ma rimasi. Cioè non servivo a molto”. (pagg. 219, 220)
Arriverà alla fucilazione all’alba malfermo sulle gambe e intontito dall’acquavite, dopo aver chiesto perdono di tutti i suoi peccati, triste per non aver nulla di buono da offrire al Signore alla fine della sua vita.

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