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"Il potere e la gloria" 2 - Il forestiero misterioso

Fonte:
CulturaCattolica.it

La copertina del romanzo ”Il potere e la gloria“ (nell’ultima edizione degli Oscar Mondadori 2009), è molto suggestiva e drammatica: è raffigurato un uomo (opera del pittore David Alfaro Siqueiros) prostrato a terra con gli occhi chiusi, le mani contratte e una espressione di intensa sofferenza impressa nel volto e nel corpo. La figura è immersa nell’oscurità e solo in parte è investita da una luce livida che scende dall’alto.
Questa compresenza di toni scuri e appena più chiari e il contrasto fortemente sottolineato delle parti in ombra e di quelle appena illuminate possono essere letti con una forte valenza simbolica riferita al contenuto del romanzo, dove luce e ombra, male e bene, peccato e grazia si intrecciano e si sovrappongono. E’ ricorrente nelle pagine del romanzo la descrizione di zone in “ombra”, e di spazi incerti e scarsamente illuminati, in cui si muovono i personaggi e si compiono le loro azioni.
Così leggiamo: ”il protagonista se ne stava nell’ombra” (pag. 9); “aveva l’ombra scura di una barba di tre giorni” (pag. 9); il protagonista emerge nel “buio” di un granaio “dopo l’abbaglio del sole” davanti al capo della polizia (pag. 41); “al lume della candela la stanza appariva austera come la cella di una prigione” (pag. 26); “dietro la foresta la luce scoloriva e le ombre degli alberi si allungavano verso la porta” (pag. 75); “Spronò il mulo dentro la penombra di un boschetto di banani “ (pag. 97). E mentre “sul pavimento duro, i fedeli cambiavano posizione nell’ombra” (pag. 81) il protagonista parla del Paradiso ai peones di un villaggio sperduto e alla luce incerta di una candela si svolge la scena finale del romanzo.
L’intera vicenda è ambientata nel Messico, alla fine degli anni ’20 e la comparsa del protagonista avviene nelle prime pagine del romanzo senza alcuna descrizione particolare e senza l’attribuzione di un nome, quasi l’Autore volesse indicare che in lui e nella sua vicenda ogni uomo si può riconoscere.
Il “forestiero” come viene chiamato da Greene, attende sul molo il battello General Obregon diretto a Veracruz, oltre il confine del territorio controllato dalla polizia locale. Nell’attesa però viene raggiunto da un bambino che insiste per essere riaccompagnato al villaggio da sua madre che sta male e non può fare a meno di lui, “del dottore nuovo“ presente in città.
Chi assiste alla scena cerca di convincere lo sconosciuto a non ascoltarlo, poiché il battello non aspetterà, ma questi si avvia con tacita mestizia verso l’interno, dicendo: “Succede sempre così…. E’ destino che lo perda” (pag. 17) e mentre il mulo lo fa sobbalzare lungo il sentiero umido e accidentato, aggiunge in tono di preghiera: ”Fa’ che mi prendano presto… Fa’ che mi prendano”. Aveva infatti già cercato di fuggire ma si sentiva come “il re di una tribù africana, lo schiavo del suo popolo” (pag. 20).
Questo episodio e le poche parole pronunciate già anticipano le note segrete del personaggio principale la cui storia è avvolta nel mistero. Capiamo solo che da tempo egli aveva deciso di andarsene da quel paese e tante volte aveva già provato, ma senza riuscirvi, prigioniero di qualcosa che non glielo aveva mai permesso, facendolo sentire “schiavo”, a servizio “del suo popolo”.

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