"Il Gattopardo" 3 - La natura del romanzo e il protagonista
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Come l'Autore aveva confidato agli amici, la prima idea era quella di descrivere 24 ore della vita di un nobile siciliano, Don Fabrizio Corbera, Principe Salina di Lampedusa , il Gattopardo del romanzo, che avrebbe ricalcato la figura del bisnonno Giulio Fabrizio, nel giorno dello sbarco dei Mille in Sicilia. Ma successivamente il racconto si amplia e viene raccontata la vita del personaggio e della famiglia Salina nei 50 anni che intercorrono fra la caduta del Regno delle Due Sicilie, nel 1860 e il 1910.
In quale genere di romanzo possiamo farlo rientrare nella sua presentazione?
Il Gattopardo è un testo storico, perchè racconta dello sbarco dei Garibaldini nel 1860 e delle sue conseguenze, autobiografico nei personaggi per lo più autentici e nei luoghi rievocati, ma è soprattutto un romanzo esistenziale, perché il protagonista nello scorrere del tempo non cessa mai di guardare dentro di sé, di interrogarsi su ciò che gli succede, sulla realtà che lo circonda, sulla vita e sulla morte, riflettendo pensieri e sentimenti del Narratore, che con lui si identifica.
IL ROMANZO
Sull’ultima edizione dell’opera compare un gattopardo danzante stemma di famiglia dei Salina e titolo del libro.
Il racconto si apre con l’invocazione: Nunc et in hora mortis nostrae. Amen, che conclude la recita del Santo Rosario. Siamo nella primavera del 1860, i Mille di Garibaldi da Marsala stanno avanzando all’interno dell’isola.
Nel salone del palazzo del nobile casato dei Salina, lontano dai frastuoni degli scontri, famigliari e servitori si riuniscono e docilmente nella preghiera quotidiana seguono la voce del capocoro, Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, (il Gattopardo, appunto, indiscusso signore di cose e persone).
Su di lui si sofferma la descrizione del Narratore.:
Non che fosse grasso: era soltanto immenso e fortissimo; la sua testa sfiorava il rosone inferiore dei lampadari; le sue dita sapevano accartocciare come carta velina le monete da un ducato; e fra villa Salina e la bottega di un orefice era un frequente andirivieni per la riparazione di forchette e cucchiai che la sua contenuta ira, a tavola, gli faceva spesso piegare in cerchio. Quelle dita, d'altronde, sapevano anche essere di tocco delicatissimo nel carezzare e maneggiare, e di ciò si ricordava a proprio danno Maria-Stella, la moglie; e le viti, le ghiere, i bottoni smerigliati dei telescopi, cannocchiali e "ricercatori di comete" che lassú, in cima alla villa, affollavano il suo osservatorio privato, si mantenevano intatti sotto lo sfioramento leggero. I raggi del sole calante ma ancora alto di quel pomeriggio di maggio accendevano il colorito roseo, il pelame color di miele del Principe; denunziavano essi l'origine tedesca di sua madre… Ma nel sangue di lui fermentavano altre essenze germaniche ben piú incomode per quell'aristocratico siciliano, nell'anno 1860, di quanto potessero essere attraenti la pelle bianchissima ed i capelli biondi nell'ambiente di olivastri e di corvini: un temperamento autoritario, una certa rigidità morale, una propensione alle idee astratte che nell'habitat morale molliccio della società palermitana si erano mutati rispettivamente in prepotenza capricciosa, perpetui scrupoli morali e disprezzo per i suoi parenti e amici, che gli sembrava andassero alla deriva nei meandri del lento fiume pragmatistico siciliano. Primo (ed ultimo) di un casato che per secoli non aveva mai saputo fare neppure l'addizione delle proprie spese e la sottrazione dei propri debiti, possedeva forti e reali inclinazioni alle matematiche; aveva applicato queste all'astronomia e ne aveva tratto sufficienti riconoscimenti pubblici e gustosissime gioie private. Basti dire che in lui orgoglio e analisi matematica si erano a tal punto associati da dargli l'illusione che gli astri obbedissero ai suoi calcoli (come, di fatto, sembravano fare) e che i due pianetini che aveva scoperto propagassero la fama della sua casa nelle sterili plaghe fra Marte e Giove. Sollecitato da una parte dall'orgoglio e dall'intellettualismo materno, dall'altra dalla sensualità e faciloneria del padre, il povero principe Fabrizio viveva in perpetuo scontento pur sotto il cipiglio zeusiano, e stava a contemplare la rovina del proprio ceto e del proprio patrimonio senza avere nessuna attività ed ancora minor voglia di porvi riparo.(4)
Il perpetuo scontento del Principe, come verremo scoprendo nel corso del racconto, è dovuto alla sua incapacità di arginare e incidere sugli avvenimenti storici che stanno coinvolgendo la sua famiglia e la sua terra, ma è determinato anche da un’inclinazione del cuore, da un pessimismo profondo, definito dalla critica cosmico e leopardiano.
E questo stesso sentire che accomuna il poeta dell’800 e lo scrittore degli anni ’50 li conduce entrambi a riflessioni sul senso della vita e a descrizioni paesaggistiche molto simili che il lettore esperto facilmente è in grado di riscontrare. (Diego Picano ha dedicato uno dei suoi saggi a dimostrare l’innegabile influsso del poeta recanatese sugli scrittori siciliani quali Verga, De Roberto, Pirandello, Tomasi, e altri (5).
NOTE
4) Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, pagg. 33, 34, edizione a cura di Gioacchino Lanza Tomasi, Feltrinelli,1969.
5) Diego Picano, E’ notte senza stelle. Motivi leopardiani nei romanzi siciliani del Risorgimento mancato.