Giuseppe Ungaretti 10 - L'esperienza del dolore
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La domanda del Poeta diventa invocazione ne
LA PREGHIERA
(da IL SENTIMENTO DEL TEMPO - INNI)
Come dolce prima dell'uomo
Doveva andare il mondo.
L'uomo ne cavò beffe di demòni,
La sua lussuria disse cielo,
La sua illusione decretò creatrice,
Suppose immortale il momento.
La vita gli è di peso enorme
Come liggiù quell'ale d'ape morta
Alla formicola che la trascina.
Da ciò che dura a ciò che passa,
Signore, sogno fermo,
Fa' che torni a correre un patto.
Oh! rasserena questi figli.
Fa' che l'uomo torni a sentire
Che, uomo, fino a te salisti
Per l'infinita sofferenza.
Sii la misura, sii il mistero.
Purificante amore,
Fa' ancora che sia la scala di riscatto
La carne ingannatrice.
Vorrei di nuovo udirti dire
Che in te finalmente annullate
Le anime s'uniranno
E lassù formeranno,
Eterna umanità,
Il tuo sonno felice.
1928
“sii la misura, sii il mistero”…
(“il mistero c’è, è in noi. Basta non dimenticarcene. Il mistero c’è, e col mistero, di pari passo la misura; ma non la misura del mistero, cosa umanamente insensata”) (da Ragioni d'una poesia, p. LXIX)
Ma è ancora un monologo da parte di Ungaretti, perché nessuna risposta sembra venire dall’alto e il poeta si abbandona a una lunga meditazione sulla morte.
Dall’inaridimento di questa meditazione sulla morte doveva essere proprio una morte a strapparlo e un’acuta esperienza di dolore: la morte del figlioletto Antonietto avvenuta nel 1939 in Brasile dove Ungaretti si era recato a vivere con la famiglia e a insegnare Letteratura italiana all’Università di San Paolo.
Ungaretti parla anche di questa esperienza di dolore:
“Non le raccolsi nel libro con le altre [parla di alcune stanze che avrebbero dovuto far parte della nuova raccolta intitolata “Il Dolore”] perché mi sembrava racchiudessero motivi intimamente miei. Era ancora egoismo. Non si può nulla riserbare per sé dell’esperienza umana, senza presunzione.” (NOTE a “Un grido e paesaggi”- Tutte le poesie- p. 569 ).
Ma nel supremo strazio dell’esperienza del dolore sia personale (la morte precedentemente avvenuta del fratello Costantino e quella del piccolo figlio Antonietto) sia universale (la seconda guerra mondiale con le sue atrocità) il mistero e l’assurdo sembrano conoscere speranza e fede; il dolore, culmine della disarmonia, ha la funzione di comporre una nuova armonia in forza di una sofferenza trasfigurata una volta per tutte nella storia dell’uomo e di Dio.
MIO FIUME ANCHE TU
da IL DOLORE - ROMA OCCUPATA 1. –1944-
Mio fiume anche tu, Tevere fatale,
Ora che notte già turbata scorre;
Ora che persistente
E come a stento erotto dalla pietra
Un gemito d'agnelli si propaga
Smarrito per le strade esterrefatte;
Che di male l'attesa senza requie,
Il peggiore dei mali,
Che l'attesa di male imprevedibile
Intralcia animo e passi;
Che singhiozzi infiniti, a lungo rantoli
Agghiacciano le case tane incerte;
Ora che scorre notte già straziata,
Che ogni attimo spariscono di schianto
O temono l'offesa tanti segni
Giunti, quasi divine forme, a splendere
Per ascensione di millenni umani;
Ora che già sconvolta scorre notte,
E quanto un uomo può patire imparo;
Ora ora, mentre schiavo
Il mondo d'abissale pena soffoca;
Ora che insopportabile il tormento
Si sfrena tra i fratelli in ira a morte;
Ora che osano dire
Le mie blasfeme labbra:
"Cristo, pensoso palpito,
Perchè la Tua bontà
S'è tanto allontanata?"
Ora che pecorelle cogli agnelli
Si sbandano stupite e, per le strade
Che già furono urbane, si desolano;
Ora che prova un popolo
Dopo gli strappi dell'emigrazione,
La stolta iniquità
Delle deportazioni;
Ora che nelle fosse
Con fantasia ritorta
E mani spudorate
Dalle fattezze umane l'uomo lacera
L'immagine divina
E pietà in grido si contrae di pietra;
Ora che l'innocenza
Reclama almeno un'eco,
E geme anche nel cuore più indurito;
Ora che sono vani gli altri gridi;
Vedo ora chiaro nella notte triste.
Vedo ora nella notte triste, imparo,
So che l'inferno s'apre sulla terra
Su misura di quanto
L'uomo si sottrae, folle,
Alla purezza della Tua passione.
Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l'uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell'amore non vano.
Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell'umane tenebre,
Fratello che t'immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l'uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D'un pianto solo mio non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.
Il titolo di questa bellissima e drammatica poesia presuppone evidentemente la precedente I fiumi.
Ai quattro fiumi della vita di Ungaretti ora se ne è aggiunto un quinto, il ’Tevere fatale’ spettatore di tutte le atrocità della guerra, ma anche di una nuova consapevolezza da parte del Poeta:
“D’un pianto solo mio non piango più”.
Cristo crocifisso è il fratello da cui il Poeta vede finalmente abbracciata tutta la sua umanità.