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G. Testori - "I promessi sposi alla prova" 5 - La speranza oggi

Autore:
Fighera, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it

Giungiamo ora rapidamente alla conclusione dell’opera teatrale. Il romanzo I promessi sposi si era concluso con il sugo della storia, ovvero con due parole che sintetizzassero cosa avessero imparato i due sposi novelli e più in generale che cosa l’autore avesse voluto comunicare al lettore. Anche Testori sente l’esigenza di sottolineare un punto particolarmente significativo del suo lavoro teatrale e della sua rivisitazione del capolavoro manzoniano attraverso il rifacimento teatrale. Così, proprio nella conclusione, il Maestro si congeda dalla compagnia di attori con una sorta di testamento spirituale. Lascia andare i suoi allievi auspicando che possano ora loro creare nuove compagnie, diventare a loro volta maestri. Così come nella parabola esistenziale il figlio diventa a tempo opportuno padre, allo stesso modo l’allievo diventerà maestro se avrà saputo, a tempo debito, essere pienamente allievo. Ecco allora il congedo del Maestro:

Cari, cari ragazzi! Così, ecco, così, come nelle scuole d’un tempo! Anzi, di tutti i tempi! […] Qui, su quel ramo; ma anche, altrove; lontano; ovunque; proprio, ovunque; ecco, ovunque, sull’immensità sterminata della terra, può nascere, sempre, qualcosa come un chiarore, una luce, un’alba…
Guardate: dietro i monti, i nostri, sì, i nostri, il cielo si sta facendo d’un rosa tiepido e pudico. Piano piano la luce rivela tutte le rive; e, sulle rive, i paesi, i campi, le strade. Uno a uno, sorgono dalla notte i campanili, le cascine, anche le più solitarie e disperse…
Voi, superata questa lunghissima prova, trarrete dal vostro amore una nuova, grande famiglia. Come attori, non solo a voi, ma a tutti, cosa si può dire, congedandosi, il vostro vecchio maestro se non che, superata questa lunghissima prova, potete andar pel mondo, costruire altrettante compagnie, diventar, ecco, voi stessi maestri… Ve n’è bisogno. E voi, adesso, siete pronti. Se, poi, nella vita o qui, sulla scena incontrerete, com’è giusto, difficoltà, dolori, ansie, problemi, battete alla sua porta. Battete con volontà, con forza, con amore. Lei, v’aprirà.


Allora gli attori chiedono chi sia la persona che risponderà. Il Maestro si congeda definitivamente rispondendo: «La speranza». Quando parlerà di questo testo teatrale, Testori si soffermerà sulla figura del Maestro che «scopre che insegnare, oggi, è ritornato necessario». Il Maestro
non è qualcuno che opprime con il suo sapere; è, più cristianamente, qualcuno che consegna a dei giovani la propria esperienza e intanto si arricchisce della loro giovinezza. Un transfert religioso. […] Cerca di recuperarli al senso del loro mestiere, cioè, trattandosi di attori, alla loro umanità. Cerca di farli tornare uomini in quella «parola» che è il loro mestiere. […] Il maestro, dunque, non è servito a spiegare il Manzoni, a metterlo in scena, quanto a verificarlo oggi, a svelare a questi interpreti il mistero della parola: la parola come metafora dell’incarnazione.

Una breve postilla. Queste riflessioni che valgono per la figura del maestro in senso lato, ovvero dell’autorità, sono estremamente significative, poi, nello specifico per chi ha scelto la professione dell’insegnamento e desideri porsi nei confronti dei ragazzi come «educatore», non come mero informatore didattico o, come dicono altri, mediatore di conoscenze, altra espressione molto utilizzata nelle recenti mode pedagogiche.

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