"Elena" 2 - Il matrimonio e il viaggio
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Costanzo Cloro è venuto in Britannia per farsi un’idea di quest’isola di allevatori e guerrieri collocata al di là della Manica, e certo non aveva previsto la possibilità di invaghirsi di una giovane britanna.
Ma Costanzo va di fretta: l’Impero è vasto, lui deve attraversarlo e intende un giorno dominarlo.
Si presenta dunque al re Coel e senza troppi preamboli chiede in sposa la sua figlia minore, la bella Elena dalle chiome infuocate.
E il dialogo fra i due è una delle tante pagine del libro stupende per la sottile ironia che l’attraversa: Costanzo è reticente sulle sue origini nobili che pure fa trapelare per far colpo sul vecchio, ma Coel non si mostra per nulla impressionato né tanto meno lusingato dalle discendenze millantate e dalle parole autocelebrative del pretendente. Sa bene quanta corruzione circoli a corte, quanti della famiglia imperiale e dei generali romani per brama di potere siano stati barbaramente uccisi.
Decide comunque alla fine di lasciare la decisione alla figlia prediletta che, convocata dal padre, inaspettatamente, accoglie la richiesta del generale affermando: "Devo andare con Costanzo, padre, dovunque vada. E poi mi ha promesso di portarmi alla Città, a Roma".
E con questa affermazione Waugh anticipa uno degli aspetti fondamentali della sua protagonista: la disponibilità a lasciare prontamente situazioni comode in cui adagiarsi e rifugiarsi, per affrontare di volta in volta con baldanza e decisione nuove scelte, nella convinzione che ogni evento e cambiamento le siano chiesti per un destino buono che a poco a poco si dipana e si compie per lei.
Una festa di nozze improvvisata viene allestita per lo sposo straniero e per la figlia del re. Quindi gli sposi partono con quella frenesia che caratterizzerà tutti gli spostamenti di Costanzo e della giovane moglie.
Il viaggio procede spedito ed Elena osserva con interesse ed attenzione ogni cosa mentre attraversa col marito e il seguito militare accampamenti, fortificazioni, confini presidiati dalle guardie imperiali; sostano in taverne fumose e, attraversato il Reno, si dirigono verso i territori germanici.
La strada per Ratisbona corre lungo una barriera divisoria, una palizzata in legno costruita dai conquistatori. Essa marca la separazione fra vincitori e vinti, territori occupati dalle milizie romane e terre incolte, devastate da anni di inimicizie e conflitti.
Davanti a questo spettacolo Elena si fa pensosa e si rivolge a Cloro chiedendogli se nel futuro dell’impero dovrà esistere sempre un muro.
Ma Cloro conosce solo le logiche dei dominatori, non può comprendere le domande di Elena e le illustra la ragione di quella barriera che egli ama perché segna la vittoria degli eserciti imperiali, della civiltà, del decoro e dell’ordine sull’inciviltà e sul caos.
Della protagonista del suo racconto o leggenda (nel significato dato al termine dalla lingua latina: legenda, cioè storia degna di essere letta e conosciuta) Waugh esalta una intensità di sentimento e di riflessione che vanno invece, fin dalla giovinezza, al di là di ogni logica di dominio e divisione.
Non potrebbe un giorno – chiede la protagonista - scomparire il fuoco distruttore dell’odio e della guerra, quello steccato divisorio che separa barbari e civili, sempre nemici e in lotta fra loro?
Non potrebbe esistere una terra riconciliata e pacificata, un’unica grande Città, dove tutti possano convergere senza contese e discordie, capace di tutti accogliere e tutti riunire?