"Come fili di seta" 6 - L'influenza spagnola e due grandi guerre
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L’influenza spagnola.
Sullo sfondo della storia vengono descritti i tragici anni della guerra, quando l’influenza spagnola si è abbattuta come una catastrofe sul mondo occidentale e orientale provocando milioni di morti fra il 1918 e il 1919.
Portate fuori i morti era la frase urlata per ogni via degli Stati Uniti e ad ogni ora del giorno si vedevano i carri per le strade colmi di cadaveri senza sudario né bara.
Poi il morbo mortale era stato lentamente vinto, e Jaber Rabee ricorda che tutti affollarono le chiese, per pregare per i loro morti e per ringraziare per la fine del flagello.
La fine della guerra.
Ma occorreva un segnale forte per ritornare a vivere e a sperare e l’11 novembre 1918 si zittirono tutti i cannoni del fronte occidentale: la guerra era finita. Nelle città americane le campane suonarono a festa. E comparvero i mazzi di fiori. I soldati tornavano finalmente a casa .
Riprendono le comunicazioni fra paese e paese interrotte per anni, e Marta riceve notizie dal suo paese e una lettera dallo zio: la carestia in Libano è finita e si è portata via migliaia di morti, solo lui e il cugino sono sopravvissuti.
E gli occhi di Marta si riempiono di lacrime e ripensa con pena e pietà alla sua terra, alla storia passata, ai morti e a Khalil, deceduto in guerra, come viene a sapere da una busta listata di nero che le viene recapitata come vedova di guerra e contenente la piastrina di riconoscimento del marito morto fra atroci sofferenze, dopo aver combattuto da eroe nell’esercito americano.
Ora sa che non tornerà in Libano: troppe cose la trattengono e la legano. E l’intreccio dei rami degli alberi che Marta osserva ogni mattina scendendo le scale per entrare nel suo negozio sembrano avvinghiarla rendendola schiava di quel luogo e dei ricordi.
Guardava l’intreccio di rami levati verso il cielo e, senza rendersene conto, si raccoglieva in preghiera. Erano preghiere mute in cui chiedeva pietà per l’anima di Khalil Haddad, suo marito e suo cugino. E clemenza e perdono per se stessa, che aveva molto sbagliato e se n’era resa conto troppo tardi. Perché non era scesa dal calesse? Come aveva potuto, lei che aveva attraversato il mondo, non percorrere i pochi metri che ancora mancavano, non affrontare Khalil e la donna vestita di turchese? Ah, se l’avesse fatto! E poi, in seguito, quando lui, volta dopo volta, aveva cercato di incontrarla? Quale alterigia - quale diavoleria - le aveva messo in bocca la frase: ”Digli così: Marta non vuole vederti”?
Come poteva il Signore perdonarla? Come poteva lei stessa perdonarsi?
Ma senza perdono non può esserci pace e amore a se stessi e agli altri.
Marta si immerge nel lavoro e nell’aiuto agli emigranti.
Il grande emporio di Philadelfia diventa in quegli anni un luogo sempre pieno di facce nuove, meta di tutti gli immigrati libanesi e arabi, indirizzati a lei dagli amici, che sanno di poter contare su Marta. Con un indirizzo su un foglietto si presentano in negozio e lì vengono accolti, alloggiati e caricati di merci a credito per attraversare paesi e villaggi con il loro borsone da ambulanti.
E quando un incendio divorerà la casa e il magazzino dell’amico e socio Astafan, Marta compenserà la metà delle sue perdite per permettergli di provvedere alla sua famiglia, perché Astafan era stato l’uomo messo dal Signore sul suo cammino.
Nel quartiere tutti la conoscono e qualcuno parla di lei come di Marta la Regina.
Ma la protagonista ha il vuoto dentro di sé e si sente vinta.
Una buona vita
Solo col passare del tempo e degli anni e forse proprio per aver dedicato tanta cura a chi si rivolgeva a lei in cerca di aiuto, le profonde ferite del cuore inizieranno a sanarsi e Marta sente di poter ritornare a vivere, ad accettare l’amore degli altri e ad amare a sua volta.
Nel 1922 sposerà Alì che l’ha pazientemente aspettata, nella certezza che solo lei fosse la donna della sua vita e tutti gli amici partecipano alla loro festa perché non si era mai visto prima un matrimonio fra una maronita e un druso. E lo stesso anno avrà il primo dei 4 figli che nasceranno dal loro matrimonio.
La vita di Marta era esattamente come diceva Astafan, era una buona vita. Si sentiva in pace. E mentre spediva la merce per ferrovia nelle varie città americane e progettava di aprire un negozio a Brooklyn... è giunta alla conclusione che tutto quello che le stava succedendo non era per caso. No, non era una conclusione, piuttosto una preghiera, la sensazione che il Signore le stesse prodigando il Suo incondizionato amore.
L’ultima parte del romanzo si inserisce nel contesto degli anni che vanno dal ‘29 agli anni ’50, quando il mondo è travolto dalla crisi economica e da una nuova guerra.
Nessuno è risparmiato dalla perdita di tutti i risparmi, dai fallimenti a catena e dalla fame. Anche la protagonista perde tutto: l’emporio di merci, la fabbrica di Kimoni confezionati con le sete del Libano, la casa.
Le rimane un terreno acquistato a Pasadena in California e lì nel 1931 si trasferisce con i bambini e il marito, ma a 40 anni rimane vedova per la seconda volta. Ancora una volta non si darà per vinta: si occuperà della istruzione dei bambini, insegnerà loro a seminare il grano, raccoglierà i frutti degli alberi e li rivenderà.
Si ricordò della Marta di tanto tempo prima, ma era un’altra adesso e da questa consapevolezza ha tratto la sua forza.
E con questa forza si farà aiutare dagli amici, cercherà piccoli lavori, aprirà un negozio, chiederà la collaborazione dei ragazzi e amplierà progressivamente i suoi affari, lasciandone a loro la gestione positiva negli ultimi anni della sua vita.
La famiglia ha serrato i ranghi, i blocchi si sono incastrati. Hanno intessuto fili resistenti e alla loro solida trama si sono appesi e si sarebbero ricostruiti una nuova vita…. Si sono stretti attorno a Marta, si sono sorretti a vicenda mentre la grande casa cresceva fino a far ombra al frutteto.
Lo scrittore racconta alla fine del romanzo di avere davanti agli occhi una fotografia del 1973 che ritrae la vecchia signora Marta Haddad nel giardino della casa di Pasadena, circondata dai numerosi nipoti e vegliata da alti cedri del Libano che si scorgono sullo sfondo.
Così si conclude questa bella storia di Marta che ha affrontato le vicende liete e tristi della vita, è maturata attraverso di esse, come lei stessa dice, e ha generato e conservato per sé e attorno a sé una trama di affetti e legami destinati a durare nel tempo.