"Barabba" 2 - Dal Barabba dei Vangeli al Barabba della letteratura
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Il Barabba dei Vangeli è noto a tutti. Fa la sua comparsa nel momento in cui la folla lo acclama “libero!” in cambio di Gesù il Nazareno alla vigilia di Pasqua.
Barabba però poi scompare dai Vangeli e gli Evangelisti non ci dicono più nulla di lui.
In questo silenzio si sono collocati alcuni scrittori che hanno provato ad immaginare Barabba “il liberato” durante e dopo la crocifissione di Gesù.
Si tratta di scrittori, non di storici, quindi vanno rispettati nella loro libertà di invenzione.
Ma sappiamo che ogni scrittore o poeta è in qualche modo anche profeta.
Giovanni Papini, per esempio, in una bella prefazione all’edizione Casini (1951) di “Barabba” dice di aver scritto anche lui un racconto intitolato Il Figlio del Padre (Bar-Abba) nel 1937, ma afferma che nel suo racconto la vicenda di Barabba rimaneva su un piano personale e
“…non s’innalzava a una più vasta raffigurazione simbolica. Ciò avviene, invece, nel libro di Lagerkvist .(…) Barabba è dunque l’Uomo, l’uomo per eccellenza, che ha salva la vita ad opera di Cristo e non sa perché. Cerca di sapere, cerca d’informarsi, cerca di vedere. (…) è incuriosito e turbato ma non sarà mai convertito. (…) E gli uomini, al par di Barabba, hanno seguitato ad essere rapinatori e assassini, sensuali e diffidenti e hanno pagato questa caparbietà della natura in convertita con la tristezza, con la solitudine, con la schiavitù e con la morte.”
Perché dunque si può considerare Barabba un simbolo universale?
1) Barabba è condannato a morte (e tutti gli uomini lo sono).
2) Barabba è salvato da Cristo (barattato con la vita di Cristo. Se anche Cristo non avesse salvato nessuno, è sicuro che salvò almeno un uomo, e per di più un ladro, un delinquente, un assassino…)
E salvato per due volte: la seconda dalle miniere cui era stato condannato come schiavo.
3) Il Barabba di Lagerkvist è un parricida (aveva ucciso Eliahu dopo una lotta mortale in cui aveva ricevuto un colpo sotto l’occhio di cui conservava una vistosa cicatrice che nel romanzo viene continuamente citata, quasi come una sua misteriosa identità, come un ripugnante segno di riconoscimento).
Ma nessuno sapeva che Eliahu fosse il padre, neppure lui. (Il pensiero corre subito al mito di Edipo …)
E la madre, donna moabita rapita e fatta schiava e usata dai briganti, l’aveva maledetto e partorito in odio al cielo e alla terra ed era morta.